Il patto per la scuola va incontro all’Europa

Tra attese e prospettive

Due grandi “patti” tra politica e forze sociali hanno coinvolto il sistema formativo del nostro Paese, a supporto di cambiamenti intervenuti tra lo sviluppo tecnologico e l’innovazione delle aziende; alla fine del secolo scorso si è imposta una svolta nel miglioramento della qualità del lavoro e della conseguente preparazione dei giovani.

Dall’offerta integrata alla concertazione

Il patto sottoscritto dal Governo Ciampi con i sindacati ha messo la formazione come propellente dello sviluppo ed ha spinto gli istituti scolastici ed i centri regionali a collaborare per un’offerta così detta integrata, cioè convergente verso obiettivi innovativi, supportati da una didattica che per la prima volta era il frutto di ricerca comune tra realtà formative e aziendali, andando ad irrobustire le già tante sperimentazioni presenti sui diversi territori.

Un altro patto è stato realizzato dal Ministro Lombardi con Confindustria dal quale prese avvio il rinnovamento dei vari indirizzi dell’istruzione tecnica e successivamente il “progetto 92” che mise ordine nella giungla degli istituti professionali. Anche qui l’innovazione venne portata attraverso una stretta collaborazione tra ministero e scuole appoggiate dalle associazioni di categoria del mondo produttivo. Se il primo patto ha inaugurato la stagione della “concertazione”, cioè del mettere insieme imprese, lavoro e formazione, per lo sviluppo, nel secondo si cercò di porre rimedio ad una politica che si rivelava inconcludente per la riforma della scuola secondaria superiore.

I propositi del Patto per la scuola del Ministro Bianchi

Quando il Ministro Bianchi ha presentato l’idea di un nuovo patto per la scuola, nella sua presentazione si intravvedeva un’altra occasione proprio per rilanciare il sistema scolastico e costruire un nuovo modello di scuola. Limitarsi ad un’intesa, per la verità piuttosto sommaria, con le sole organizzazioni sindacali sa molto di appuntamento mancato, soprattutto perché sull’onda delle dichiarazioni del presidente Draghi poteva essere questa l’occasione per sollecitare sia gli operatori scolastici, sia i soggetti dell’economia e dell’organizzazione sociale ad un rapporto più stretto con l’Europa.

Le politiche del personale e la governance

Dai contenuti del documento sottoscritto, che si possono riassumere in due grandi aree, le politiche del personale e la governance, ci si sarebbe potuti attendere proposte confrontabili a livello internazionale, un contributo offerto alle riforme richieste dal Next generation EU alle quali anche il mondo della formazione non potrà sottrarsi. Parlare infatti di efficaci politiche salariali per la valorizzazione del personale, ma rimandando tutto alla contrattazione e allineandosi ai dipendenti della pubblica amministrazione, lascia piuttosto delusi, perché è proprio da questi ultimi che ci si dovrebbe differenziare pensando più ai docenti europei per quanto riguarda gli stipendi, le carriere, ecc. Nuovi modelli di organizzazione del lavoro saranno indispensabili se si vuole completare il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche e la loro apertura al territorio, come le problematiche connesse con la pandemia ci hanno dimostrato.

Competenze delle amministrazioni territoriali, riforma degli organi collegiali e rafforzamento del Ministero e delle sue articolazioni periferiche, dovrebbero farci capire l’indirizzo che deve assumere il governo del sistema, a livello centrale e locale, mentre siamo ancora ad un elenco di problemi, noti da tempo, per i quali forse era necessario aprire un confronto più ampio per trarre indicazioni anche circa l’utilizzo delle risorse europee.

La necessità di stabilizzare gli organici, ma come?

Sappiamo che su mobilità, continuità didattica, organici di istituto, temi indicati dal patto, il dibattito tra Governo e sindacati è aperto da tempo e che ogni volta che si vuole privilegiare la continuità didattica inibendo la mobilità alla fine è quest’ultima ad avere la meglio. È noto, infatti, che la ricerca di personale prevede uno spostamento da sud a nord del Paese, il che comporta, una volta avuta la nomina, la corsa ad invertire la tendenza. Inoltre i tempi in cui avvengono questi movimenti, cioè ad anno scolastico iniziato, provocano una notevole instabilità nel servizio. Il disagio potrebbe essere attenuato qualora potesse esserci effettivamente un organico di istituto capace di sostenere una reale programmazione, che possa comprendere anche i vuoti che si verrebbero a creare per effetto degli spostamenti. Tale organizzazione è invece ritagliata in modo molto stretto dalle scarse risorse economiche a disposizione e dai vincoli di precedenza nelle graduatorie, legati alle classi di concorso ed alle attuali modalità di costituzione delle cattedre. È inutile ribadire che la stabilità dell’organico è una cosa fondamentale, indipendentemente da come si voglia organizzare la didattica, soprattutto se l’impegno futuro della scuola è quello di uscire da una dimensione autoreferenziale per interagire sempre di più con le diverse realtà territoriali e con i bisogni educativi, ad esempio per contenere la dispersione e realizzare iniziative di supporto agli apprendimenti, all’orientamento, ecc.

Ragionare sul reclutamento

Se si vuole andare in questa direzione occorre veramente un diverso modo di reclutamento, specialmente di dirigenti e docenti, per organizzare leadership diffuse e professionalità legate più che ai titoli di studio e qualche credito, ad esperienze concrete ed approfondite nelle scuole. Se le lauree diventeranno abilitanti ci vorrà un contratto di apprendistato alla cattedra che si concluda con una valutazione e la conferma sul posto. Questo sarà anche utile, come si è detto, per coprire i buchi che si vengono a creare per effetto della mobilità sfrenata.  

Un’occasione mancata?

È chiara, dunque, la differenza tra una governance di tipo centralistico ed una di tipo autonomistico, andando anche oltre gli organi collegiali, che possono conservare il principio della partecipazione, ma postare altrove i luoghi e le modalità della decisione. Tra autonomia delle scuole e competenze dei territori sulla rete scolastica e l’unitarietà del sistema nazionale, come indicato nel Patto, ci stanno le norme generali, che sono responsabili dell’unità del servizio di istruzione, e la gestione, che invece deve dare concrete risposte al territorio. Così dice la nostra Costituzione e il Patto poteva essere un’occasione per darvi attuazione.