Il manifesto di Vienna

Per una transizione digitale inclusiva e a misura d’uomo

Qualche mese prima dello scoppio della pandemia e più precisamente nel Maggio 2019 alcuni docenti e ricercatori universitari provenienti da prestigiose università mondiali stilavano a Vienna un manifesto su quelle che dovevano essere le linee guida per orientare i decisori politici nella transizione digitale degli anni a venire.

L’anima inclusiva delle tecnologie

Secondo gli accademici si trattava di creare una Weltanschauung del tutto nuova, in cui le tecnologie avrebbero dovuto mostrare essenzialmente una chiara anima antropocentrica e inclusiva. Rispetto delle diversità, libertà, sicurezza digitale, privacy, ma anche libero accesso ai dati, alle informazioni e ai nuovi processi formativi digitali di qualità erano i punti da seguire considerati imprescindibili. L’obiettivo era quello di arrivare ad una società e un’economia diversa, più giusta e più equa, in cui la centralità dell’uomo e dell’ambiente avrebbero dovuto esserne le guide e le colonne portanti. In un mondo che sarà sempre più digitale, i bisogni, gli interessi e le fragilità umane dovranno avere un posto del tutto di riguardo, prevalendo sulle mire alle volte incontrollabili, poste da approcci esclusivamente tecnocratico-economici predatori finalizzati al profitto, ad un PIL senz’anima e ad un controllo generalizzato sulle masse.

Innovazioni digitali a beneficio di tutti

In realtà le idee profuse nel documento rivoltano semplicemente le basi di ciò che è stato fino ai nostri giorni l’evoluzione tecnologica. Essa si è sempre dimostrata dirompente nella sua casualità, ma incurante delle problematicità che poneva. La visione espressa dal documento non è di certo una involuzione verso posizioni luddiste nei confronti di un oscuro e distopico progresso digitale, ma al contrario è la presa di coscienza che non ci potrà essere progresso digitale o di altra natura se non sarà l’umanità intera a beneficiarne. Le innovazioni distruttive che hanno caratterizzato l’ultimo mezzo secolo hanno coercitivamente condizionato l’uomo ad adattarvici, accettando i pesanti costi sociali, economici e ambientali che ne sono derivati. Sarà ora l’essere umano nella sua essenza e coscienza più intima che dovrà plasmare una tecnologia capace di soddisfare i propri bisogni in equilibrio con la natura e ambiente e mai più il contrario.  

Digital Humanities: per un mondo etico e sostenibile

Il manifesto discusso e approvato a Vienna si chiama Digital Humanities[1] (Umanesimo Digitale), consta di ben undici articoli esplicativi che dovrebbero essere le basi da considerare per avviare una transizione digitale a misura d’uomo. Se gli approcci evidenziati nel manifesto potevano avere già una valenza significativa nel 2019, ora e negli anni avvenire – che saranno condizionati dalla ricostruzione post-pandemica – dovranno diventare la guida essenziale per un mondo del tutto diverso soprattutto dal punto di vista etico e di condivisione.

Per uscire dalla crisi causato dal Covid-19 molte nazioni stanno già puntando verso soluzioni rapide di sviluppo, alternative e apparentemente sostenibili, anche se a livello geopolitico non sembra esserci una regia comune e una condivisione di intenti globali e ognuno sembra andare per la propria strada.

La filosofia Ubuntu: inclusione, condivisione, appartenenza

Il tempo però delle scelte comuni e solidali che devono sfociare in azioni integrate a livello planetario è giunto, anche per fare fronte ai tanti altri gravi problemi globali irrisolti che attanagliano l’umanità, e non basterà il solo vaccino per superarli. Le diverse transizioni eco-tecnologiche che si attueranno dovranno mostrare un vero senso di condivisione umanitaria. «Io sono quello che sono per merito di ciò che siamo tutti» così recita il concetto cardine della filosofia africana Ubuntu[2] e che dovrebbe essere di ispirazione. È nel nome di un futuro legame digitale comune che permeerà l’umanità che dovranno cadere tutti i muri e le divisioni di ogni tipo creando un nuovo senso di inclusione, condivisione e appartenenza in cui nessuno dovrà sentirsi escluso o lasciato indietro.

Le questioni aperte

Al di là dei buoni propositi e sentimenti rimangono però aperte alcune questioni di fondo affinché i processi e gli obiettivi connessi con l’Umanesimo Digitale possano pienamente manifestarsi. Ci poniamo, dunque, alcune domande.

  1. Potrà l’Umanesimo Digitale avere una tale autorevolezza da conquistare la mente e i cuori dei decisori politici e della collettività, in modo da mettere in secondo piano gli egoismi e gli interessi economici nazionali che hanno incarnato i tradizionali approcci basati sullo sfruttamento usati finora a livello globale?
  2. In che modo l’Umanesimo Digitale riuscirà a conciliare, da una parte la nascente ondata di logicità asettica data dagli algoritmi di intelligenza artificiale e, dall’altra, la fallacità umana in cui a minor precisione e razionalità corrisponde un maggiore senso di empatia, di umana comprensione e di coinvolgimento emotivo?
  3. Sarà l’Umanesimo Digitale in grado di riscattare un mondo – che nel recente passato si è perso nell’indifferenza nei confronti di una globalizzazione senza controllo e che ha ampliato le disuguaglianze economiche oltreché le problematiche ambientali – orientandolo ora positivamente verso un benessere e felicità appannaggio di tutti.

Il cambiamento nasce a scuola

Una cosa è certa: la consapevolezza e la coscienza su cui l’Umanesimo Digitale si baserà non potrà nascere e svilupparsi dal niente, né tantomeno potrà diffondersi partendo da una presa di coscienza di una élite di intellettuali e accademici illuminati. È un seme ideale che va piantato e accudito con i propri tempi di sviluppo e di diffusione. Un forte cambiamento che abbini la transizione digitale al senso di umanesimo globale può iniziare a crescere solo dentro la scuola. Ma quest’ultima dovrà cambiare radicalmente nei suoi modi e nei suoi tempi iniziando dall’essenza stessa e dal ruolo delle discipline. Si tratta di un potenziale tsunami di idee innovative, di processi e di comportamenti virtuosi che dovranno essere appresi dai discenti in maniera sinergica e organica sin dalla più tenera età e crescere con loro nel corso della vita.

Il senso delle discipline in un mondo indisciplinato

La sfida insita nello sviluppo dell’Umanesimo Digitale è quello di arrivare a avere un mondo più inclusivo, equo e solidale. Una scuola rinnovata dovrebbe preparare i futuri cittadini a comprendere come risolvere i tanti problemi globali che minacciano il pianeta e l’umanità stessa. È necessario però considerare che tali problemi hanno un alto grado di complessità. Indipendentemente dalla loro origine e natura essi hanno in comune i seguenti caratteri:

  1. non si presentano mai con confini disciplinari specifici ben delineati;
  2. non possono essere suddivisi dicotomicamente tra ambiti umanistici e scientifici;
  3. Si presentano sempre “diversamente” interconnessi attraverso processi di retroazione e avanti-azione (feedforward);
  4. Non sono mai ben strutturati, né tantomeno sequenziali, così come si è abituati a studiarli nei capitoli ben ordinati dei testi scolastici. Al contrario nella realtà il caos predomina sull’ordine, l’indeterminatezza sovrasta la certezza e le connessioni prevalgono sulle suddivisioni: è il famoso battito d’ali di una farfalla ad Hong Kong che genera un uragano in Florida;
  5. la onnipresenza della variabile socio-culturale che funziona come cassa di risonanza nei confronti delle altre variabili. Essa rappresenta un ulteriore stato di perturbazione che rende i problemi ancora più complessi. Se da una parte incide profondamente sulle altre variabili alterandole e ampliandole, dall’altra ne viene da quest’ultime condizionata e modificata.

Un approccio sistemico

Le tecnologie digitali e più in generale la cibernetica hanno reso più consistente lo studio delle relazioni, delle retroazioni e delle interconnessioni reticolari sistemiche insite nella complessità dei problemi odierni.  Allora è naturale porsi due domande:

  1. che senso può avere ancora un approccio puramente disciplinarista che ancora predomina nella scuola e che per sua natura tende alla segmentazione a discapito dell’organicità in cui si presentano i problemi complessi nella realtà?
  2. se “il tutto è maggiore della somma delle parti” e nella scuola le discipline rappresentano “le parti”, sarà possibile poi per l’individuo autonomamente riconfigurare il proprio apprendimento parcellizzato e decontestualizzato in modo unitario senza che rimangano punti ciechi che offuschino la visione reticolare del “tutto”?

Un cambiamento radicale può avvenire solo modificando nella scuola ciò che prevalentemente sono stati finora gli approcci didattici in cui hanno predominato i compartimenti stagni tra le discipline con particolare riferimento alla divisione tra le umanistiche e quelle scientifiche.

Nessun grado di separazione

Dallo scorso secolo si discute sulla dicotomia tra “le due culture” scientifica ed umanistica. Senza dubbio nella storia moderna ha sempre prevalso l’approccio scientifico o, meglio, economico-ingegneristico come elemento determinante lo studio e la risoluzione dei problemi, in quanto la visione umanistica era considerata ininfluente.  Nel 1968 il biologo Ludwig von Bertalanffy pubblicò il libro Teoria generale dei sistemi in cui definiva l’elemento umanistico come una variabile socio-culturale “reale” che entrava in gioco con tutte le altre biologico-naturali ed economiche che tradizionalmente venivano prese in considerazione in maniera esclusiva per lo studio e la risoluzione dei problemi globali.

La cultura umanistica non è più considerata dall’autore come qualcosa riservata ad intellettuali, ma rappresenta “la terza filosofia” su cui lo stesso pensiero sistemico[3] si basa. In sintesi senza aggiungere la visione “umanistica” a qualsiasi analisi, il tentativo di risoluzione dei problemi complessi non è completa, perde di significatività e non può essere effettivamente affrontata.

Il sapere è unitario

La inter-poli-trans-disciplinarità[4] è invece la soluzione pedagogica proposta dal filosofo Edgar Morin per preparare i giovani alle sfide presenti e future. Per superare i pericoli connessi con la parcellizzazione del sapere, della decontestualizzazione e dell’iperspecializzazione presenti nelle discipline, le azioni didattiche da intraprendere, secondo il filosofo, devono risultare in modo che “ogni evento, informazione o conoscenza” entri “in una relazione di inseparabilità con il suo ambiente culturale, sociale, economico, politico e naturale“. È necessario sviluppare nei discenti “un attitudine a contestualizzare e globalizzare i saperi”.

Una scuola che affronta i problemi

Indipendentemente dalla disciplina il docente deve saper progettare un apprendimento basato su problemi che devono essere presentati in maniera organica e non settoriale. Una parte importante di tale processo dovrà derivare dalla ricerca e dall’elaborazione di dati reali e contestuali e dalla loro trasformazione in informazioni, poi in conoscenze, fino ad arrivare a comprenderne gli elementi valoriali. Tali processi interpretativi ad ampio raggio sono oltremodo agevolati dalle tecnologie digitali presenti in ogni scuola in grado di portare la realtà in classe.  La capacità di lavorare, elaborare e produrre con le tecnologie digitali è allora il comune denominatore e deve appartenere a tutte le discipline. E da lì che si può iniziare per sviluppare elementi di pensiero sistemico comuni e sinergici. Maggiore sarà il senso di unitarietà del sapere, maggiore sarà la consapevolezza che le nuove generazioni avranno nei confronti di un pianeta e di una umanità sofferente e in attesa di scelte decisive per fare in modo che diventi un posto migliore per tutti.


[1] Il documento tradotto in italiano può essere scaricato dal seguente link: https://dighum.ec.tuwien.ac.at/wp-content/uploads/2019/07/Vienna_Manifesto_on_Digital_Humanism_IT.pdf

[2] Per ulteriori approfondimenti si veda il seguente articolo di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Ubuntu_(filosofia)

[3] Bertalanffy, Ludwing v. Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni. Milano: ILI, 1971. L’autore a pagina 13 del libro evidenzia: «La terza parte della filosofia dei sistemi si interessa dei rapporti tra l’uomo e il mondo, ovvero di ciò che, nel gergo dei filosofi, viene indicato con i “valori”. Se la realtà è una gerarchia di totalità organizzate, l’immagine dell’uomo sarà differente da quella che si ha in un mondo di particelle fisiche governate da eventi casuali e intese come realtà ultima e unicamente “vera”. Si deve piuttosto dire che il mondo dei simboli, dei valori, delle entità sociali e delle culture è un qualcosa di molto “reale”; e il fatto che questo mondo sia immerso in un ordine cosmico di gerarchie lo rende capace di superare l’opposizione, enunciata da C. P. Snow con le “due culture”, tra scienza e cultura umanistica, tra tecnologia e storia, tra scienze naturali e sociali, o tra quali altri si voglia termini mediante i quali affermare questa antitesi».

[4] Morin, Edgar. La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Milano: Raffaello Cortina, 2000.