La comunicazione come strumento d’inclusione

Per una buona didattica non basta conoscere la disciplina

L’attenzione ai linguaggi sta diventando centrale nel dibattito attuale sull’inclusione sociale e scolastica. La comunicazione è specchio della realtà, ma è anche strumento per diffondere, e rafforzare modelli e valori (come pure disvalori e stereotipi). L’uso inclusivo della lingua è la capacità di rappresentare e raggiungere ogni persona, senza esclusione di alcuna categoria o gruppo di persone, ma attribuendo pari riconoscimento e visibilità sociale.

Il termine comunicazione sta ad indicare, in generale, l’azione di rendere noto, di trasmettere e di diffondere informazioni, ma anche di rendere partecipi altri soggetti di fatti, sentimenti ed emozioni condividendo pensieri e opinioni, esperienze e sensazioni.

Le funzioni della comunicazione

La comunicazione è la condizione della sopravvivenza della società. Si comunica per rappresentare e conoscere una realtà, per creare e consolidare le relazioni umane, per risolvere i problemi, per costruire saperi e competenze, per trasmettere il senso del bello, per condividere emozioni. Ci spiega tutto ciò Roman Jakobsòn quando assegna a ciascun elemento del processo comunicativo una particolare funzione, che si manifesta nelle forme e nei contenuti del messaggio. Sei sono le funzioni, secondo tale modello: Referenziale, Emotiva, Conativa, Fàtica, Poetica, Metalinguistica.

Conoscere la realtà

La funzione referenziale è quella finalizzata a descrivere una realtà. Si ha quando il messaggio è orientato prevalentemente sul referente (o sul contesto), per cui un oggetto o un evento viene portato alla conoscenza del destinatario in forma prettamente neutra o convenzionale. Si caratterizza, quindi, per l’assenza di coinvolgimento psicologico-affettivo e per l’uso dominante della terza persona singolare o plurale.

L’emozione nelle parole

Si ha la funzione emotiva quando l’insegnante (mittente) mette in risalto il suo atteggiamento psicologico e affettivo rispetto a ciò di cui parla, quando cerca di mostrare, nel messaggio che trasmette, un suo stato d’animo. Per farlo utilizza vari mezzi: modulazione del tono della voce, espressioni “forti”; alterazione del normale ordine delle parole… Tale funzione (di tipo connotativo) è quella che provoca una emozione al destinatario.

La guida nelle azioni

Si ha funzione conativa a scuola (dal latino conari = intraprendere, tentare) quando il docente cerca di influire sullo studente, invitandolo ad assumere determinati comportamenti, tendenzialmente attraverso tecniche persuasive o anche direttive. È quindi una delle funzioni che, nel rapporto insegnante studente, si manifesta più frequentemente.

Il contatto e la presenza

La funzione fàtica (dal latino fari = pronunciare, parlare) è orientata soprattutto alla verifica del contatto. Le parole che si usano hanno lo scopo di mantenerlo o di interromperlo. Le espressioni che si utilizzano generalmente sono del tipo “pronto?”, “ci sei?”, “mi senti?”. Tale funzione riguarda anche altre forme stereotipate di discorso, come i saluti (di incontro e di separazione), i convenevoli, gli auguri, le considerazioni sul tempo. Sono espressioni che servono per la cosiddetta “manutenzione del canale”, cioè ad aprire, mantenere aperto o chiudere un contatto fra due o più interlocutori.

Il valore della bellezza

La funzione poetica pone l’attenzione sull’aspetto fonico delle parole, sulla scelta dei vocaboli e della costruzione formale. L’obiettivo è la bellezza, la poesia, l’estetica… è una funzione, infatti, sempre presente nell’arte pittorica, nei testi poetici e letterari. Ma è anche presente nella lingua di tutti i giorni, nel linguaggio infantile o in quello della pubblicità. Nelle immagini, per esempio, è importante la relazione tra gli oggetti stessi, la loro disposizione, la focalizzazione sui dettagli, l’uso del logo, la forma grafica. Coltivare questi aspetti a scuola significa educare alla cura del bello, alla gentilezza, alla cortesia nel dialogo.

Importante è capirsi

Si ha la funzione metalinguistica quando il messaggio è orientato prevalentemente sul codice, anche allo scopo di verificare se il mittente e il ricevente (nel nostro caso: docente e studente) lo stanno usando bene dando gli stessi significati. Sono esempi le definizioni che si trovano sui vocabolari e la stessa grammatica, oppure la descrizione delle modalità di realizzare o di riprodurre una immagine. In altre parole, la funzione metalinguistica è quella che usa segni per spiegare, interpretare e commentare altri segni facendo “comunicazione sulla comunicazione”.

Queste funzioni non compaiono quasi mai isolatamente, potenzialmente sono sempre tutte presenti, ma può accadere che un messaggio sia volutamente e contemporaneamente emotivo e conativo, oppure poetico ed emotivo. Sta naturalmente al docente utilizzarli nella maniera più adeguata rispetto allo studente e al contesto. 

Il rischio delle distorsioni comunicative

Bisogna tuttavia considerare che quando si è di fronte a ragazzi con disabilità, specialmente con gli alunni con disturbi dello spettro autistico ci possono essere distorsioni di tutte le funzioni, con conseguente impossibilità di generare una comunicazione verbale efficace. Molto spesso, l’incapacità del ragazzo di codificare del messaggio verbale fa venir meno la possibilità di produrre un messaggio che funzioni sul piano didattico. Quindi è importante avere piena consapevolezza del tipo di alterazione cognitiva dell’allievo e delle aree da potenziare. È diverso se c’è una prevalenza nell’alterazione del linguaggio verbale, o del linguaggio non verbale, se il deficit è invece tendenzialmente di comprensione: l’analisi di queste tre componenti, che interagiscono tra loro e che sono differenziatamente compromesse a seconda del quadro clinico diagnostico, è fondamentale per poter calibrare e/o enfatizzare una o l’altra delle sei funzioni del linguaggio.

I “rumori” che disturbano una buona comunicazione

La comunicazione non è mai un processo chiaro e lineare. Ci possono essere molti elementi che influiscono sulla comprensione del messaggio. Oltre ai sei fattori evidenziati da Jakobsòn ci sono i cosiddetti “rumori”.

La categoria del “rumore” e molto ampia. Ci sono quelli materiali (dai brusii, dalle interferenze, dalle voci che si sovrappongono, luce eccessiva …), ma ci sono anche quelli causati dall’eccesso delle informazioni (ridondanze). In tal caso può capitare che anche l’elemento potenzialmente utile non venga riconosciuto, o magari venga individuato ma con molte incertezze.

Partendo, quindi, dal presupposto che ciò che viene comunicato non sempre corrisponde a ciò che viene recepito, bisogna capire quali sono gli elementi di “distorsione del messaggio” e cercare di trovare soluzioni per eliminarli o almeno attutirli.

L’importanza del feedback

Un sistema utile e quello di utilizzare in maniera funzionale dei feedback. Possiamo considerare il feedback come la principale leva strategica del processo di insegnamento-apprendimento. Esistono infiniti modi per dare e ricevere feedback: in una comunicazione frontale basta a volta un gesto, un’espressione facciale. Anche il più tradizionale questionario potrebbe essere un utile strumento di feedback.

Comunque, per una comunicazione efficace, bisogna non solo curare ciò che proviene dal mittente, ma tenere sotto controllo anche ciò che risponde l’interlocutore.

A scuola, da un lato è importante essere diretti, specifici, concreti, immediati, dare rinforzi positivi, dall’altro fare in modo che allo studente arrivi il messaggio senza interferenze e ridondanze. E la condizione affinché il destinatario del messaggio possa rispondere in maniera diretta e partecipata, ponendo magari domande chiarificatrici e offrendo la propria interpretazione per trovare soluzioni.

Comunicazione verbale, paraverbale e non verbale

Numerosi studi svolti sostengono che solo il 7% di ciò che si comprende in un sistema comunicativo è dedotto dal messaggio verbale (sia scritto che orale), mentre il 55% è dedotto dal linguaggio non verbale e il rimanente 38% si comprende dalla comunicazione paraverbale. Perciò il docente nel formulare un messaggio verbale deve fare attenzione che esso sia:

  • chiaro (mettere in evidenza le informazioni più importanti);
  • semplice (si può sostituire, laddove è possibile, termini tecnici con parole comuni);
  • coerente (è bene non fare salti logici);
  • breve (evitare quindi verbosità e ridondanze).

Bisogna inoltre tenere sotto controllo le modalità in cui i concetti vengono espressi (paraverbale). Rivestono, infatti, un ruolo fondamentale: il tono della voce (che deve variare in relazione agli scopi comunicativi); il ritmo (si rallenta per mettere in risalto i punti importanti, si va più spediti quando gli aspetti sono meno significativi); il volume (cambiando e modulando il volume della voce è possibile variare l’intensità dei contenuti della comunicazione).

Infine, si deve prestare altrettanta attenzione al linguaggio del corpo, cioè alla comunicazione non parlata, ai diversi codici della cultura comune che spesso aiutano a capire meglio anche concetti difficili. È la componente questa che va ad incidere maggiormente sulla comprensione di un messaggio. Ci riferiamo in particolare al sistema cinesico (la postura, le espressioni del volto, lo sguardo, i movimenti del corpo), alla prossemica (la posizione occupata nello spazio rispetto all’interlocutore), al codice cronemico (organizzazione soggettiva del tempo della conversazione) e alla componente aptica (messaggi espressi attraverso il contatto fisico).

Non esiste una comunicazione unimodale

Bisogna tenere sempre presente che non esiste una comunicazione unimodale ma è possibile utilizzare più canali di comunicazione contemporaneamente.

La conoscenza profonda dello studente con cui ci relazioniamo a scuola è fondamentale per poter scegliere se prediligere una modalità comunicativa anziché un’altra. La necessità, quindi, di accompagnare le conoscenze della propria disciplina con specifiche competenze comunicative e relazionali, costituisce un principio ineludibile per una buona didattica in classe.

Bisogna, tuttavia evitare forme di incongruenza. Qualsiasi tipo di comunicazione deve mostrarsi coerente. Il livello verbale (ciò che viene detto con le parole) non può essere smentito dal livello non verbale (ciò che viene trasmesso con gesti, dagli atteggiamenti, dal tono di voce, ecc.). Se un insegnante dice di essere molto arrabbiato con l’alunno e poi si mostra allegro e sorridente crea sicuramente difficoltà a comprendere il messaggio. Ancor più se lo invita ad avvicinarsi per un feedback positivo ma, attraverso la comunicazione non verbale, gli trasmette invece un giudizio negativo. Molto spesso il non verbale può incidere più profondamente delle parole e provocare, se in dissonanza, anche gravi disturbi cognitivi e del comportamento.

Gli assiomi della comunicazione

Nel volume “Pragmatica della comunicazione umana” Watzlawick ha affrontato i punti fondamentali della comunicazione che ha sintetizzato in 5 assiomi:

  1. Non si può non comunicare: tutti i comportamenti si trasformano in comunicazione, esplicita ed implicita. Persino stare in silenzio trasmette un messaggio;
  2. Contenuto e relazione: ogni comunicazione ha due livelli: il contenuto (il “cosa” si sta comunicando) e la relazione (il “come” che si definisce, invece, da come viene pronunciata la frase);
  3. Punteggiatura delle sequenze di eventi: ovvero la sequenza degli eventi espressi nel flusso comunicativo. Sulla base della sequenza cambia il significato dato alla comunicazione;
  4. Comunicazione digitale ed analogica: l’analogico comprende tutta la comunicazione non-verbale, il sistema digitale riguarda la comunicazione verbale. La congruenza tra i due sistemi è uno degli aspetti su cui bisogna fare maggiormente attenzione nelle interazioni con gli altri;
  5. Interazione simmetrica o complementare: lo scambio complementare si instaura tra persone che hanno un potere diverso, dove uno assume una posizione ‘one-up’ e l’altro una posizione ‘one-down’. Lo scambio simmetrico, invece, avviene fra interlocutori che si considerano sullo stesso piano e che hanno ruoli sociali analoghi. Il rapporto educativo insegnante-studente nella scuola tradizionale, fatte salve tutte le didattiche partecipative, viene considerato di tipo complementare, cioè asimmetrico.

Quale tipologia relazionare si dovrebbe utilizzare in classe?

Sul piano educativo, in classe, partendo dalle due tipologie relazionali di base (simmetrico e complementare), si può mettere alla prova una terza tipologia che può essere definita con il termine “metacomplementare”. L’esempio e quello dell’insegnante che consente allo studente, per esempio, in un contesto laboratoriale, di assumere i suoi comportamenti. C’è anche un quarto tipo di relazione che si può chiamare “pseudosimmetrica”. E quella in cui l’insegnante consente allo studente di adottare un comportamento simmetrico e non complementare come avviene tradizionalmente nelle situazioni educative. In altre parole, il docente e gli allievi, pur rimanendo distinti nei loro ruoli, mettono in atto una “miscela” di scambi interattivi, tali da evitare di cristallizzare la comunicazione su di un solo binario. Il docente, che ha un ruolo educativo, deve saper rivestire la figura di un adulto che collabora su un piano più paritetico, accettando, ogni tanto, anche di “fare” l’allievo.

La comunicazione efficace e la relazione d’aiuto

Rogers è stato uno dei primi studiosi che ha parlato di comunicazione efficace, cioè di una modalità partecipativa d’interazione con l’altro.

A scuola, per un docente, significa fare arrivare il messaggio allo studente in termini chiari, tenendo sempre in mente che ci possono esserci interferenze (rumori e ridondanze) sia esterne sia interne e che tali interferenze possono ostacolare l’espressione o la comprensione del messaggio.

Per comunicare nel migliore dei modi bisogna non soltanto sapersi porre nel ruolo di emittente ma anche in quello di destinatario, predisponendo la propria persona all’ascolto. Comunicare efficacemente significa innanzitutto “ascolto attivo”, cioè essere capaci di porre attenzione all’altro senza formulare giudizi ed essere in grado di assumerne anche il suo punto di vista, senza però rinunciare ad uno stile di tipo assertivo. Essere assertivi significa: saper mostrare efficacemente le proprie emozioni, le proprie opinioni, difenderle ma senza mai ignorare quelle degli altri.

Alcuni riferimenti

  • ROGERS C., La terapia centrata sul cliente, Giunti Editore, Firenze, 2013.
  • WATZLAWICK P., BEAVIN J.H., JACKSON D D., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Milano, 1978.