Bambini al centro

Il prodigio di un bambino che impara a camminare senza saper leggere le istruzioni ed impara a parlare senza saper scrivere

A volte capita ancora – oltre che nelle scuole e negli studi pediatrici – di incontrare la merce più rara dell’Umanità nazionale: bambine e bambini tra zero e sei anni… Ecco perché sono centrali nel progetto per il sistema integrato zerosei, tanto caro a Giancarlo Cerini.

Infanzia riscoperta?

Con le Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei[1] sono stati puntualizzati vari argomenti, oggetto di riflessione di tutti gli operatori della scuola. La sfida educativa è quella di rispettare i “tempi personali” di ciascun bambino o bambina[2].

Gli anni della crescita[3] dei bambini da zero a sei anni sono determinanti per il loro futuro. Andrebbero sostenuti ed educati innanzitutto i genitori nel comprendere che lo sviluppo prevede fasi di accelerazione e di pausa, a volte piccole apparenti regressioni. Proprio i genitori e gli insegnanti (nido e scuola dell’infanzia) devono capire il tratto evolutivo di ogni bambino e promuovere e sostenere le specificità di comportamento, evitando ogni confronto tra pari (inutile e spesso dannoso).

Diversità, potenzialità e sviluppo

Il centro dello sviluppo di ciascun bambino è sicuramente nel corpo. La corporeità va vissuta pienamente, senza intenzioni adultistiche di deformazione del naturale incontro con la realtà e le sue proprietà fisiche. I bambini nascono – in qualche misura – scienziati: si muovono, scoprono, deducono, ipotizzano, inventano, sperimentano.

Questa azione di ricerca è il fulcro del loro primo modo di stare al mondo. Camminare, muoversi, toccare significherà comprendere la plasticità degli oggetti, la rumorosità, il peso ed il peso specifico e perfino la massa, pur senza averne assolutamente i concetti. Gli oggetti della ricerca saranno quelli tipici dell’attuale industria del giocattolo sicuro, ma anche oggetti come coperte, cuscini, poltrone, pareti, sfere e palle di diversa composizione e, naturalmente, l’acqua madre di tutte le sperimentazioni dei bambini.

Cosa succede nella mente del bambino?

In assenza del linguaggio verbale il bambino costruisce un primo rapporto causa-effetto un po’ immaginifico e un po’ concreto operativo.

È bene evitare semplificazioni o, peggio, toni dottrinali di divisione tra male e bene. È improduttivo introdurre etichette verbali che, col tempo, il bambino stesso troverà stupide: le cose hanno un nome ed i bambini amano il linguaggio preciso, soprattutto quello scientifico. (es.: la candela che si scioglie si fonde col calore, non è magica).

La comparsa e l’evoluzione del linguaggio verbale (prodotto del pensiero e delle dinamiche familiari ascolto/riproduzione) vedrà l’accrescersi di etichette verbali capaci di rappresentare le cose, gli oggetti, gli eventi, le persone. A volte i bambini sorprendono nel rilevare quanto avviene davanti agli occhi di tutti noi: “L’acqua esce forte dal rubinetto perché scappa dal tubo troppo stretto per invadere la vasca”.

L’uso delle etichette verbali e la ricerca di un rapporto di causalità sono aspetti importanti su cui gli adulti devono stare molto attenti: non devono, per esempio, intervenire dando spiegazioni o prevenendo le reazioni prassiche e verbali dei bambini. Occorre semplicemente lasciarli vivere e sbagliare.

È importantissimo narrare, raccontare e raccontarsi quanto avviene pur nella suggestione emotiva del proprio vissuto[4]. L’apprendimento è intrinsecamente legato alla narrazione.

Giocare è conoscere, giocare è vivere

Il bambino difficilmente si trastulla nella ripetizione, è in continua ricerca ed azione. Questa reattività è presente anche nei modi di approccio sociale con i propri simili (bambini e piccoli animali). Il bambino è senza pregiudizi ed ha una notevole capacità di “leggere le emozioni dell’altro”. Questo lo aiuta a difendersi da atteggiamenti leziosi (tesoruccio di…) o anche falsi.

I bambini vogliono essere protagonisti ed educarli vuol dire abituarli ad essere ascoltati nel prendere piccole decisioni che li riguardano.

Se vediamo un bambino in azione (gioco) dovremmo essere in grado di coglierne l’assoluta concentrazione e serietà degli atteggiamenti così come delle posture. Il bambino piccolo ha un approccio serio alle attività, la sua curiosità e dinamicità costituiscono la formaludicadella sua attività ma non è sempre gioco e trastullo, la mente è sempre in azione e creazione. È un moto ludico perché il bambino si sta divertendo, sotto il profilo puramente emotivo e cognitivo.

Bambino attore e docente regista

Il potenziale di sviluppo di tutti i bambini è notevole, proprio per l’età e lo spazio di tempo di vita. È un tempo che serve all’adulto per agevolare lo sviluppo dell’autonomia, la maturazione dell’identità e l’acquisizione di abilità, capacità e competenze.

La suggestione e le considerazioni di Bronfenbrenner[5] hanno orientato i pedagogisti e gli psicologi di tutti il Mondo a tener conto che l’arricchimento del contesto è fondamentale per un sano sviluppo dei bambini e delle bambine dalla nascita ai 18 anni. Egualmente gli studi di Rogers e Maslow[6] hanno centrato l’attenzione sulla qualità dell’esistenza, sugli aspetti positivi della personalità umana e sulla scelta di strade che puntino alla massima soddisfazione.

Due appaiono i compiti dei docenti (non solo di nido ed infanzia):

  • costruire un ambiente di apprendimento dinamico e funzionale che sia all’altezza delle necessità di sperimentazione e di rapporto diretto con la conoscenza. Ciò significa agevolare gli incontri con gli oggetti di apprendimenti (cose esistenti) e loro rappresentazione in un contesto educativo ad alta valenza didattica (mediazione culturale e didattica)[7];
  • avere cura delle relazioni personali ed interpersonali tra pari e con gli adulti presenti nel contesto scolastico: cura del tempo, delle pause, delle routine. Previsione di tempi di ascolto, come di silenzio e/o pause, tempi di rilassamento o di scoperta, tempi per la narrazione del sé.

La lezione “muta”

Essere insegnanti in questo modo è un po’ essere artisti nella costruzione della rete dei circuiti spazio-temporali che si realizzano durante i mesi e gli anni di frequenza scolastica di un bambino così come di un ragazzo.

Ottimo il docente che pratica la “lezione muta” (M. Montessori): ti mostro ma non ti spiego e tu (bambino/ragazzo) prendi ciò che ti serve e lo usi in progress come meglio credi guardando e manipolando le cose, confrontandoti con i pari, giocando ad imparare.

Esemplarità quindi nel senso più puro del termine ed anche rispetto dei modi di apprendimento e dei tempi di crescita. Nessun docente è migliore di quello che legge con espressione ad alta voce per insegnare a leggere bene.

Imparare facendo per “voler diventare”

William Glasser[8], psichiatra americano, ricorda quanto sia più facile imparare ascoltando e vedendo e soprattutto sperimentando e (meglio ancora) dovendo aiutare altri ad imparare.

La regìa didattica è anche sapiente capacità di costruire relazioni “calde” ed emotivamente educanti tra pari: è la forza dell’apprendimento cooperativo (lavori in gruppo a scuola, a casa, su obiettivo). Mai come oggi è necessario imparare a fare le cose insieme, anche preparandosi ad una vita amicale significativa e gratificante in cui il sorriso, la condivisione, l’abbraccio, la complicità costituiscano sistema certo della vita reale, lontana dalle finzioni dei social.

Al centro di questo approccio all’apprendimento non può che esserci l’emozione dell’imparare, la passione che fa superare la fatica per un obiettivo intenso e significativo: voler diventare.

Imparare con azioni di senso e di significato significa impadronirsi delle regole matematiche per giocare a ricostruire, dedurre, capire. Altrettando avviene leggendo Dante o un brano di letteratura inglese, scelto solo “perché piace”. La dimensione del laboratorio presente a scuola è il modo più efficace anche per costruire il proprio sapere sulle grammatiche dell’incontro tra il sé, il noi (gruppo di apprendimento) e lo strumento didattico, attraverso un’opera artistica o letteraria.

La competenza è figlia di un sapere sperimentato

La competenza è figlia di un sapere sperimentato che va ben oltre il dieci formale o il giudizio “AAA” legato a un compito esclusivamente scolastico che non si traduce nelle capacità di gestione, produzione, interpretazione, deduzione, collaborazione con altri da sé.

Le competenze ci danno le chiavi di comportamento nella vita che sarà. Emozione, passione, attività con approccio ludico, sperimentazione, creatività e rappresentazione sono le dimensioni di un produttivo percorso scolastico.

Ciascuno di noi è un valore aggiunto

La pedagogia è figlia – del tutto naturale – della filosofia.  Cosa c’è di più bello di una Vita serena trascorsa insieme con chi ci vuole bene, con chi ci rimanda il senso del noi con i nostri difetti e pregi rimandandoci quella stima sociale che ci mantiene il più possibile lontani da una vita fatta di mille micro conflitti di supremazia?

Quale modo migliore di educare ad una sana vita adulta, se non quella di consentire a Valentina e Massimiliano ma anche ad Anna e Ugo di essere sé stessi?

In ciò poter fare le cose belle che ci sentiamo di fare, sviluppando al massimo le forme delle nostre diverse intelligenze – presenti anche nei bambini speciali – siano esse cinestetiche o musicali, letterarie o prassiche, sportive o logico formali.

Ciascuno di noi è un valore aggiunto per la realtà sociale e per gli altri che, con noi, seguono passi paralleli delle nostre esistenze.

Ciascuno di noi può mirare all’autorealizzazione che curi insieme l’ascesa nella piramide dei bisogni di Maslow (autorealizzazione, stima, appartenenza…) e l’incontro con il sé, dentro e fuori, per un equilibrio psichico tra bisogni naturali e bisogni di realizzazione di cui l’educazione deve farsi garante.

Il Mondo è dei bambini

Se ci fermassimo un attimo e valutassimo la vita dai nostri 40, 50, 60, 70 anni ci renderemmo conto che il Mondo non è nostro ma è, in maggior misura, dei bambini (e dei ragazzi)[9].

Se davvero, in quanto adulti, ci sentiamo così onnipotenti, allora dovremmo capire che il miglior gesto di politica e di economia è di investire nei bambini. In ciò destinando tutte le risorse possibili per le giovani famiglie e per le istituzioni educative, costruendo il miglioramento del nostro territorio affinché le future generazioni stiano meglio delle nostre. Gli uccelli, i pesci, i mammiferi del pianeta Terra fanno così…  Passano intere giornate a prendersi cura del territorio e delle modalità di nascita e crescita di quelli che prenderanno il loro posto.

Non è pedagogia, è solo logica o meglio naturalezza… Il potere dell’intelligenza e della Natura.


[1] Ministero dell’Istruzione, Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei, Presidente commissione ispettore Giancarlo Cerini.

[2] Cfr. Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei, Parte III: Centralità dei bambini.

[3] Cfr. Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei, Parte III: Centralità dei bambini 1. La riscoperta dell’infanzia (ogni bambino è unico ed irripetibile).

[4] Cfr. Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei, Parte III: Centralità dei bambini 2. I bambini e le loro potenzialità (Il loro modo di vedere e rapportarsi al mondo è fortemente colorato dai vissuti emotivi e da tensioni che si avviano a padroneggiare: l’adulto ha un ruolo importante nell’aiutarli a riconoscere le emozioni al fine di modularle e sostenerne l’autoregolazione).

[5] Bronfenbrenner U., Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 1986.

[6] La Psicologia umanistica si è sviluppata in USA negli anni Settanta grazie agli studi e alle ricerche di C. Rogers e A. Maslow.

[7] Cfr. Mediazione Culturale e Didattica in Rispoli G. “Programmare nella scuola dell’infanzia”, Bergamo 1987, e Rispoli G. “Insegnare ed imparare nella scuola elementare” (primaria), Salerno, 1993.

[8] William Glasser, Control Theory in the Classroom, New York: Harper and Row, 1986.

[9] Per un approccio narrativo, in parte filosofico ed in parte umoristico, cfr. M. Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, Milano 2013.