Sistema Integrato 0-6 e dispersione scolastica

Come garantire un servizio educativo e una scuola dell’infanzia di qualità

La Legge 107/2015 all’art. 1 comma 181 aveva predisposto la delega per l’«Istituzione del Sistema Integrato di Educazione e di Istruzione dalla nascita fino ai 6 anni”, attuata poi con il successivo Decreto Legislativo n. 65 del 13 aprile 2017.

Molti sono gli argomenti già trattati nei precedenti numeri di Scuola7 in merito al Sistema Integrato, ma io vorrei esaminare un tema specifico relativo all’importanza di tale sistema per prevenire la Dispersione Scolastica: una questione recentemente affrontata dal Decreto 170 del 24 giugno 2022.

Una efficace strategia per un futuro migliore

L’Unione Europea in questi anni ha sollecitato ed esortato gli Stati membri a riconoscere l’importanza dei servizi alla prima infanzia e della scuola dell’infanzia come parte integrante del sistema educativo e formativo di ogni nazione, ritenendo che un sistema di qualità rivolto all’infanzia abbia ripercussioni positive sia sullo sviluppo dei bambini e sulla prevenzione di eventuali loro insuccessi successivi sia sulle responsabilità familiari e professionali dei genitori e sia sul lavoro femminile. Dare la possibilità alle famiglie di usufruire di servizi e scuole dell’infanzia a costi accessibili e presenti su tutto il territorio garantisce, infatti, pari opportunità.

Nei documenti europei “Il sistema di cura e di educazione dei bambini da 0 a 6 anni (ECEC)” rappresenta una delle strategie più efficaci per promuovere pari opportunità, edificare società democratiche, abbattere i muri della povertà e prevenire la dispersione scolastica.

Vorrei fare una breve cronistoria sui documenti internazionali che evidenziano l’importanza dello zerosei al fine di garantire uno sviluppo equilibrato ed integrale del bambino/a, ma anche per prevenire carenze negli ordini di scuola successivi.

Barcellona 2002 e Commissione europea

Ricordiamo il Consiglio Europeo di Barcellona che nel 2002 pone alcuni obiettivi comuni da realizzare che riguardano i servizi educativi per i bambini in età prescolare: entro il 2010 la percentuale di posti nei servizi per l’infanzia avrebbe dovuto attestarsi al 33% per i bambini dalla nascita a 3 anni e al 90% per i piccoli da 3 a 6 anni. Entrambi i target, però, si rivelano troppo ambiziosi. Successivamente al Consiglio di Barcellona, la Commissione Europea evidenzia, perciò, l’opportunità di:

  • correlare le sfide economiche alla necessità di mettere a punto strategie di apprendimento permanente a partire dalla primissima infanzia (2006);
  • sostenere lo sviluppo dei processi di lifelong learning fin dai primi anni di vita (2008);
  • garantire una «scuola di qualità» per l’infanzia, funzionante “a regola d’arte”, indicatore di qualità nel settore (Raccomandazione europea 2011);
  • “investire sull’infanzia” base essenziale per l’apprendimento permanente, l’integrazione, l’opportunità di riscatto sociale, lo sviluppo personale e la prevenzione dello svantaggio sociale (Raccomandazione europea 2013);
  • accedere ad una scuola dell’infanzia di alta qualità come vantaggio per la collettività per vincere anche le sfide sul terreno di un’economia sempre più globalizzata e competitiva. Tutto il sistema scuola si pone come investimento per il futuro successo scolastico e per le prospettive di impiego (Raccomandazione europea 2019);
  • realizzarsi sul lavoro, gestendo contemporaneamente le responsabilità di cura familiare. È una sfida, soprattutto per le donne, le quali adeguano la loro decisione di lavorare, e la modalità di lavoro scelta, alle loro responsabilità di assistenza, alla modalità di condivisione di tali compiti con un partner e alla presenza di servizi di sostegno… Necessita garantire soluzioni efficaci, ad esempio l’assistenza all’infanzia (Commissione europea, “Un’Unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025” del 2020).

Strategia Europa 2020 e Garanzia per l’infanzia 2021

Nella Strategia di Europa 2020, proposta dalla Commissione europea il 3 marzo 2010, la “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” è collegata ad un maggiore coordinamento della politica economica e sociale tra Unione europea e Stati membri.

All’interno dei suoi obiettivi quello di “garantire strutture di educazione e cura per l’infanzia al 95% dei bambini tra i 4-6 anni e l’inserimento in strutture di educazione e di cura”, assume un ruolo chiave nella riduzione del tasso di abbandono scolare precoce al 10% e nella lotta alle condizioni di povertà dei cittadini europei.

Successivamente, la Commissione Europea nella sua proposta riguardante una “Garanzia per l’infanzia” nel 2021 concentra l’attenzione sugli ostacoli più significativi che impediscono ai minori di accedere ai servizi necessari per il loro benessere e per il loro sviluppo personale.

Partire da una buona scuola per l’infanzia

Gli obiettivi di Barcellona per l’offerta di servizi di educazione e cura della prima infanzia sono oggi per lo più raggiunti, ma alcuni Stati membri sono in notevole ritardo, in particolare per il sistema zerosei. Anche nei documenti dell’OCSE si legge che:

  • lo sviluppo umano, a partire dalla prima infanzia, è una sfida importante che garantisce il futuro della società in diversi ambiti e necessita accompagnare il percorso di formazione dei ragazzi partendo da una buona scuola dell’infanzia, pertanto bisogna «partire alla grande» quanto prima (Documento “Starting Strong II: Early Childhood Education and care” 2006);
  • nelle rilevazioni internazionali sono attribuiti punti in più per coloro che hanno frequentato una buona scuola dell’infanzia, ciò accresce le possibilità di successo nelle scuole successive;
  • necessitano maggiori investimenti nell’educazione e nella cura dell’infanzia per lo sviluppo, l’apprendimento e il benessere infantile(Documento “Education at a Glance”2018);
  • esiste unarelazione fra la frequenza alla scuola dell’infanzia e le migliori performances degli studenti quindicenni (esiti a distanza).

I risultati internazionali OCSE-PISA sulle competenze in lettura e matematica rilevano che i bambini che hanno usufruito dei servizi per l’infanzia ECEC ottengono risultati migliori. Le ricerche indicano anche che l’offerta di servizi ECEC di alta qualità può aiutare a ridurre la spesa pubblica futura per il welfare, la salute e la giustizia.

Nel rapporto EURYDICE “Cifre chiave sull’educazione e la cura della prima infanzia in Europa”, del luglio 2019 si sostiene che “Investire nell’educazione fin dai primi anni di vita rappresenta un “bene comune” in quanto costituisce un indicatore di successo scolastico che è una variabile strategica per incrementare i livelli culturali e di istruzione della popolazione”.

Le scelte nazionali

Nella legge 107/2015 si legge: “(…) necessita garantire ai bambini e alle bambine pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali (…)”.

Nel Decreto 65/2017 si afferma che “nella fascia di età zerosei si gettano le fondamenta dello sviluppo delle potenzialità di ogni bambino, si possono contrastare i condizionamenti sociali e culturali negativi e si contrastano le vecchie e nuove forme di povertà”.

A livello nazionale l’INVALSI sostiene il contributo fondamentale della scuola dell’infanzia per il miglioramento dei risultati di apprendimento e per la prevenzione di difficoltà di apprendimento o di successivi bassi livelli culturali di alfabetizzazione o di abbandono scolastico.

L’importanza del lavoro congiunto tra infanzia e primaria

Sarebbe opportuno che l’esame dei risultati delle prove INVALSI della seconda classe della scuola primaria fossero analizzati insieme dai docenti dell’infanzia che hanno avuto quei bambini e dagli insegnanti della primaria per riorientare le scelte: l’analisi congiunta, infatti, consentirebbe di interrogarsi sull’efficacia dei percorsi effettuati in italiano e matematica in entrambi gli ordini di scuola nell’ottica di un curricolo verticale.

Anche nella Guida all’Autovalutazione del RAV Infanzia RAV Infanzia 2016, proposto in via sperimentale alle scuole monordinamentali, si legge che: “L’azione della scuola può definirsi efficace quando assicura risultati a distanza nei percorsi di studio successivi o nell’inserimento nel mondo del lavoro. È, pertanto, importante conoscere i percorsi formativi dei bambini usciti dalla scuola dell’infanzia ad un anno o due di distanza, e monitorare inoltre i risultati sia all’interno del primo ciclo, sia nel passaggio al secondo ciclo e oltre”.

Il peso dei servizi educativi per l’infanzia

Nel Decreto legislativo n. 334 del 21 novembre 2021 “Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei” si afferma più volte l’importanza di questo settore per la prevenzione della dispersione scolastica: “Molti studi hanno dimostrato che la partecipazione a programmi prescolastici di alta qualità da parte di bambini provenienti da famiglie svantaggiate porta al conseguimento di competenze cognitive migliori e influisce in modo considerevole e a lungo termine sulle capacità socio-emozionali, fattori ai quali sono da attribuire effetti positivi nel percorso sociale e lavorativo da adulti. I benefici dell’investimento nei programmi educativi per la prima infanzia sono assai più efficaci e meno costosi degli interventi successivi mirati al contrasto dell’abbandono scolastico. Disporre di un insieme qualificato di servizi educativi e scolastici è una risposta al diritto a una buona vita individuale e di comunità”.

La questione dell’obbligo e la garanzia della frequenza

Rilevata l’importanza della frequenza dei bambini nel settore zerosei, una strategia per prevenire la dispersione potrebbe essere quella di rendere la scuola dell’infanzia obbligatoria fin dai 3 anni. Così succede in Francia e in Ungheria. Si potrebbe almeno rendere obbligatorio il 5° anno, come in Olanda, Belgio e Slovacchia, Romania, Grecia, Polonia. In Italia la frequenza è dai 3 ai 6 anni e non è obbligatoria, come nella Repubblica Ceca, Portogallo, Spagna, Germania. Ancor oggi viene rilanciato il principio della generalizzazione della scuola dell’infanzia, cioè la garanzia della frequenza per tutti i bambini su tutto il territorio nazionale.

L’obbligo almeno del 5° anno, oltre ad eliminare il fenomeno dell’anticipazionismo delle iscrizioni dei piccoli alla scuola primaria, garantirebbe maggiormente i bambini attraverso una didattica sistematica e specifica tale da influire positivamente sugli apprendimenti successivi a livello linguistico, logico-matematico e socio-emotivo.

Dall’alfabetizzazione emergente all’alfabetizzazione formale

Ciò faciliterebbe il passaggio da una “alfabetizzazione emergente”[1] propria della scuola dell’infanzia, dove a prevalere non sono la codifica e decodifica formale, ma le componenti cognitive, emotive e sociali dell’apprendimento, ad una “alfabetizzazione formale” propria della scuola primaria, con l’apprendimento di lettura e scrittura di testi alfabetici a seguito di interventi specifici di istruzione[2].

Per promuovere le potenzialità e rafforzare l’identità personale di tutti i bambini non occorre utilizzare metodi o strategie proprie della scuola successiva precocizzando interventi formali. Nella scuola dell’infanzia non si “maturano i prerequisiti” rispetto alla scuola successiva, ma si costruiscono i requisiti specifici attraverso tutti i campi di esperienza. Sono concetti che vengono ricordati nelle Linee pedagogiche per il sistema zerosei, 2021: “La dimensione infantile ha di per sé valore e piena dignità, infatti tale fase non è da intendersi in alcun modo, né concettualmente né operativamente, come preparatoria alle successive tappe e va vissuta compiutamente (…)”. Le accelerazioni, le anticipazioni, i “salti” non aiutano i bambini nel percorso di crescita individuale, ma li inducono a rincorrere mete individuate per loro dagli adulti.

Per prevenire insuccessi o dispersione scolastica negli anni successivi si devono garantire ad ogni bambino un servizio educativo e una scuola dell’infanzia di qualità, con un ambiente di apprendimento ricco di opportunità ed esperienze, strutturato nei suoi tempi e spazi, per rielaborare/rappresentare/riscoprire in modo autonomo gli avvenimenti e per imparare a pensare, utilizzando strumenti e strategie di pensiero.


[1] Per “alfabetizzazione emergente” si intende l’insieme delle capacità emergenti di lettura e scrittura che si sviluppano nel bambino, in età compresa tra i due e i sei anni circa. 

[2] Giuliana Pinto «Il suono, il segno, il significato. Psicologia dei processi di alfabetizzazione» Carrocci, Roma, 2003