Mensa e tempo pieno per ridurre le disuguaglianze

Una proposta di Save the Children

Nell’edizione numero 300 di questa newsletter[1], abbiamo puntato l’attenzione all’annuale rapporto pubblicato recentemente da Save the Children Italia: “Alla ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana”. Sono stati analizzati alcuni elementi di criticità della nostra scuola, per i quali l’organizzazione internazionale – che da oltre cento annilotta “per salvare la vita delle bambine e dei bambini e garantire loro un futuro a ogni costo”[2] – ha indicato una serie di misure. Si tratta di proposte volte a rilanciare la scuola pubblica italiana, con l’intento di contrastare efficacemente disuguaglianze sempre più radicate e che si manifestano a vari livelli.

Gli studenti con background migratorio

Uno sguardo particolare, nel documento elaborato da Save the Children, è stato riservato anche agli studenti con background migratorio. In realtà, la condizione socioeconomica familiare associata al background migratorio risulta essere tra i fattori principali della disuguaglianza negli apprendimenti.

Più alunni stranieri al Nord – Nell’anno scolastico 2020/2021, gli allievi con cittadinanza non italiana rappresentavano il 10,3% degli iscritti in tutte le scuole di ogni ordine e grado. I nati in Italia, ad oggi, corrispondono al 66,7%: un dato significativo, che mette in luce l’irrisolto nodo dello “ius soli”. Dai dati esaminati da Save the Children, risulta una maggiore concentrazione di alunni stranieri al Nord (65,3%), mentre diminuisce progressivamente al Centro (22,2%) e al Sud (12,5%).

La fuga dai banchi – Alcuni studi si sono soffermati ad esaminare la presenza di una certa distribuzione di alunni stranieri:

  • superiore al 30% per il quasi 7% delle scuole e il 6,6% delle classi;
  • totalmente assente nel 18,5% di scuole.

Una probabile spiegazione di tale situazione, sembra derivi dall’allontanamento delle famiglie native a vantaggio di scuole collocate in aree urbane centrali, con la conseguente possibilità di aumentare quello che viene definito “white flight” (fuga dei bianchi), ovvero il rischio di segregazione degli alunni stranieri solo in alcune scuole[3].

I ritardi accumulati – Le difficoltà che gli studenti di origine straniera incontrano lungo il percorso sono notevoli: basti pensare che quasi il 27% di essi accumula un ritardo dovuto alla ripetizione di uno o più anni scolastici, a fronte del 7,5% dei compagni italiani. Nel solo segmento di scuola secondaria superiore, il ritardo riguarda oltre il 53% degli studenti stranieri. In considerazione di questi dati di realtà, la pandemia, di certo, ha aggravato il livello delle disuguaglianze anche per questi studenti con fragilità di partenza.

Le buone pratiche d’inclusione – Va senz’altro tenuta alta l’attenzione per garantire una reale inclusione sociale e scolastica di minori stranieri, migranti e/o rifugiati. Il rapporto elaborato da Save the Children richiama buone pratiche sia a livello europeo (progetto “H2020 IMMERSE – Integration Mapping of Refugee and Migrant children in Schools and other Experiential environments in Europe”; progetto irlandese “ENDIP – Embracing Diversity Nurturing Integration Project”; progetto “PARENTable”, implementato in Germania, Italia, Svezia e Turchia), sia a livello italiano (progetto “L’Altroparlante” coordinato dall’Università per Stranieri di Siena e implementato in sei scuole italiane)[4].

Nuove linee guida per l’integrazione – Una menzione specifica è stata riservata al documento di marzo 2022, curato dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero dell’Istruzione, relativo alle nuove Linee guida per l’integrazione “Orientamenti interculturali”, in considerazione che esso «sollecita un vero e proprio cambio di prospettiva, secondo cui investire nella multiculturalità come accrescimento di opportunità per tutti anziché colmare “deficit”, in linea con l’idea di una scuola attenta allo sviluppo di competenze sociali, life skills e soft skills»[5].

Gli effetti positivi della mensa e del tempo pieno

Nel rapporto, la mensa e il tempo pieno vengono suggerite come misure necessarie per ridurre i divari e le disuguaglianze, che andrebbero garantite a tutte le bambine e a tutti i bambini di scuola primaria, ma anche a quelli di scuola dell’infanzia (oltre che agli studenti di scuola secondaria di primo grado), principalmente secondo un’ottica di intervento precoce e preventivo. Invero, si legge nel documento: «Il tempo pieno non aiuta soltanto gli alunni a migliorare i loro livelli di apprendimento, mapuò avere effetti positivi anche di medio e lungo periodo. ‘Restare a scuola’ per tempi prolungati contribuisce allo sviluppo delle competenze cosiddette ‘non-cognitive’, sociali ed emozionali, fondamentali per crescere ed avere una vita attiva in un mondo sempre più ‘connesso’ ed in costante mutamento. Il tempo pieno, soprattutto se garantito ai minori più svantaggiati, risulta quindi essere una delle misure più efficaci per combattere la dispersione scolastica»[6].

Figura n. 1 – Percentuale di classi a tempo pieno nella scuola primaria per regione[7]

Quanto costa il tempo pieno in tutte le classi della primaria

La misura del tempo pieno, associata all’introduzione dei “Livelli Essenziali delle Prestazioni” (LEP) riguardanti il servizio mensa – per assicurare un pasto gratuito per tutte le allieve e tutti gli allievi di scuola primaria in linea con gli obiettivi della Garanzia Europea per l’Infanzia[8] – si ritiene possa “rappresentare un punto di svolta nella scuola italiana”. Soprattutto per coloro che provengono da famiglie economicamente e socialmente più svantaggiate, anche in vista della possibilità di ridurre il fenomeno della dispersione, sia esplicita, sia implicita[9].

Lo studio effettuato da Save the Children stima che, per garantire il tempo pieno a tutte le classi di scuola primaria, sarebbe necessario un investimento economico annuo di circa 1 miliardo e 445 milioni di euro, per adeguare l’organico all’estensione temporale del tempo scuola.

Figura n. 2 – Fabbisogno i termini di risorse umane e costi per estendere il tempo pieno a tutte le classi di scuola primaria in ciascuna regione[10]

Tali costi possono essere imputati alle risorse già stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Vanno tenute in debita considerazione: l’ottimizzazione delle risorse a disposizione; le spese per riorganizzare e aumentare gli spazi; la necessità di promuovere una formazione mirata del personale, considerando che le attività didattiche in una scuola a tempo pieno devono essere necessariamente più attive ed inclusive. Difatti, dal PNRR sono state destinate cospicue risorse proprio per il miglioramento delle infrastrutture scolastiche (in particolare per estendere il servizio mensa), per la formazione docente e per il contrasto alla dispersione scolastica.

Nel rapporto si fa riferimento alla necessità di «analizzare come questi fondi atterreranno sui territori e che contributo daranno alla riduzione dei divari educativi del nostro Paese». Si ha la consapevolezza che, nonostante gli sforzi “per superare la logica dei “bandi” per focalizzare gli investimenti nelle aree più deprivate”, si corra il rischio di “una semplificazione eccessiva dei criteri utilizzati, con l’effetto di una distribuzione delle risorse non centrata sulle reali necessità”[11].

Il tempo pieno: uno spazio di libertà

Anche secondo il parere di dirigenti scolastici e docenti, interpellati come “testimoni privilegiati”[12], uno degli “elementi potenzialmente più ‘trasformativi’ della scuola” è proprio individuato nel tempo pieno. D’altra parte, è un dato di fatto che molti territori della nostra penisola «si caratterizzano per un’offerta educativa, culturale, ricreativa, ‘educativa’, al di fuori del contesto scolastico, molto povera»[13]. È diffusa la consapevolezza che la scuola debba essere “un presidio educativo e sociale essenziale”, costruendo “una proposta educativa di comunità”, che può essere realizzata solo se la scuola è “aperta” oltre il normale orario di lezione: agli studenti, ai genitori ed anche all’intera comunità territoriale[14].

Si auspica, dunque, da un lato un maggiore tempo pieno, che si qualifichi come “uno ‘spazio di libertà’, di sperimentazione pedagogica, in un ambito, quello della scuola italiana, ancora molto rigido”[15]; dall’altro, la possibilità di offrire un ventaglio di attività extracurricolari e formative che siano “innovative e stimolanti”, tali da essere capaci di “attirare gli studenti”, specie tra quelli che hanno impattato con l’insuccesso scolastico e sono maggiormente a rischio abbandono.

Verso una scuola strutturalmente aperta

Si tratta di riuscire ad essere “scuola accogliente”, anziché “respingente” (come continua ancora a sussistere in qualche realtà), in maniera generalizzata su tutto il territorio nazionale, superando le logiche individuali, seppur lodevoli, “la cui sopravvivenza – come si legge nel Rapporto – è strettamente legata alla volontà di dirigenti e di docenti”[16]. La sfida è quella di riuscire a creare una scuola aperta in maniera strutturale, grazie agli sforzi e all’impegno di tutte le istituzioni preposte, anche con il coinvolgimento delle migliori risorse presenti nei territori, terzo settore compreso.

Da questo punto di vista, diviene indispensabile sostenere adeguatamente “i patti educativi di comunità”, per “strutturare la relazione tra scuola e territorio”, che si configura come un elemento sostanziale per “la trasformazione degli istituti scolastici in spazi educativi aperti ed inclusivi”[17].  C’è bisogno, quindi, di un cambio di paradigma, che consideri «la privazione educativa come un fenomeno dipendente anche dalle condizioni esterne alla scuola, in particolare le condizioni sociali, culturali ed economiche dei territori»[18]. La conseguenza è che bisogna definire i criteri che tengano conto di tali fattori per la distribuzione delle risorse, promuovendo anche «progetti di reti di scuole che coinvolgano gli attori della comunità, volti a trasformare le scuole in spazi aperti e partecipativi, di sperimentazione educativa e sociale»[19].

In questa prospettiva, nel rapporto si segnala l’esigenza di un rafforzamento delle “capacità progettuali delle scuole”, pure finanziando “best practices esistenti”, con l’intento di fornire un adeguato supporto tecnico a scuole con minore esperienza in ambito progettuale.


[1] Cfr. https://www.scuola7.it/2022/300/il-tempo-perduto-a-scuola/

[2] Cfr. https://www.savethechildren.it/

[3] Cfr. Save the Children Italia, “Alla Ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana”, settembre 2022, p. 17.

[4] Cfr. op. cit., pp. 18-20.

[5] Op. cit., p. 18.

[6] Op. cit., p. 24.

[7] Op. cit., p. 25.

[8] Cfr. op. cit. La Garanzia Infanzia (European Child Guarantee) è un’iniziativa della Commissione europea volta a promuovere l’accesso a servizi essenziali, quali educazione a partire dalla prima infanzia, nutrizione, salute, cassa, per i bambini e i ragazzi maggiormente svantaggiati. Cfr.https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/infanzia-e-adolescenza/focus-on/Garanzia-europea-per-l-infanzia/Pagine/default.aspx).

[9] Op. cit., p. 25.

[10] Op. cit., p. 26.

[11] Op. cit., p. 27.

[12] Op. cit., p. 29.

[13] Ibidem.

[14] Cfr. op. cit., p. 30.

[15] Ibidem.

[16] Op. cit., p. 31.

[17] Cfr. op. cit., p. 32.

[18] Op. cit., p. 33.

[19] Ibidem.