Il tempo “perduto” a scuola

Dalle analisi alle proposte di Save the Children

Nell’annuale rapporto pubblicato lo scorso 7 settembre e puntualmente curato, come da diversi anni a questa parte, dalla sezione italiana dell’organizzazione internazionale Save the Children, viene tratteggiato un quadro a tinte piuttosto fosche della situazione riguardante gli studenti italiani. Vengono analizzati i dati che mostrano alcune inequivocabili debolezze del nostro sistema scolastico, ma non mancano proposte e raccomandazioni per un rilancio della scuola pubblica.

La persistente incidenza della povertà economica e educativa

Alla ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana” è il titolo, diretto ed eloquente, del rapporto elaborato da Save the Children Italia. Nell’introduzione si parte da una amara constatazione: l’attuale condizione degli studenti del nostro Paese è particolarmente difficile. Le crisi globali, la recessione economica, i tortuosi percorsi scolastici degli ultimi anni, a seguito della pandemia, sono impattati negativamente, da un lato, sugli apprendimenti delle studentesse e degli studenti, dall’altro, sui redditi delle famiglie, che sempre più affrontano con difficoltà i loro compiti di supporto dei bisogni materiali e educativi dei figli. Le due dimensioni sono strettamente correlate, poiché i dati dimostrano che i minori provenienti da famiglie svantaggiate sul piano socioeconomico registrano livelli di apprendimento più bassi e sono anche coloro che più facilmente si disperdono.

L’incidenza della “povertà assoluta tra i minori” è arrivata al 14,2% nel 2021, coinvolgendo oltre 1.380.000 bambine/i. Al contempo, nello stesso anno, si è registrato anche un tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione pari al 12,7%, che ci vede in vetta alla classifica dei Paesi UE, preceduti solo dalla Spagna e dalla Romania, le cui percentuali sono peggiori della nostra. È quanto risulta dall’elaborazione dei dati forniti da un’indagine di Eurostat sulle “Forze lavoro” del 2021[1]:

Figura 1 – Popolazione tra i 18-24 anni che abbandonano i percorsi formativi prematuramente nel Paesi UE

A ciò si aggiunge un altro rilevante dato, relativo alla percentuale di studenti che arriva al diploma di scuola secondaria superiore senza le minime competenze, necessarie per entrare nel mondo del lavoro: tra il 2019 e il 2022, tale percentuale è balzata, invero, dal 7,5% al 9,7%. Senza contare che l’Italia registra attualmente, rispetto a tutti gli altri paesi europei, anche il maggior numero di giovani appartenenti alla categoria dei NEET (23,1%), ovvero giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono inseriti in nessun percorso di istruzione, formazione o lavorativo[2].

Figura 2 – Popolazione NEET tra i 15-29 anni nel Paesi UE

L’annosa “questione meridionale” della scuola italiana

Nella lucida analisi dell’attuale situazione della scuola del nostro Paese, viene esaminata quella che, inevitabilmente, è assimilata alla “questione meridionale”: “questione” storicamente nota, maturata nel periodo successivo all’Unità di Italia e riferita ad una condizione di arretratezza nello sviluppo economico e sociale delle regioni meridionali rispetto a tutto il resto della penisola, specialmente alle regioni settentrionali.

È una situazione che, purtroppo, continua a persistere ai giorni nostri e riguarda anche gli esiti degli apprendimenti. Benché la fotografia consegnata dall’indagine INVALSI 2022 mostri un intero Paese in cui «non si riesce ancora ad invertire una tendenza che vede ormai da anni un arretramento nella quota di studenti che raggiungono i traguardi previsti per il grado scolastico oggetto d’interesse»[3], la situazione si presenta piuttosto differenziata a livello territoriale.

I livelli di apprendimento meno soddisfacenti in italiano e matematica si registrano tra studenti e studentesse che risiedono nelle regioni del Sud e delle Isole. A fronte del 34%-35% di esiti insoddisfacenti in italiano alla fine della scuola secondaria di primo grado nelle regioni del Nord e del Centro, la percentuale sale tra il 45% ed il 49% al Sud e nelle Isole. In matematica la situazione è anche peggiore: nel Mezzogiorno la percentuale di allievi, che non raggiunge stabili livelli di apprendimento alla fine del primo ciclo di istruzione, si attesta tra il 54% ed il 60%, mentre scende tra il 36% ed il 40% nelle regioni Centro-Settentrionali.

Il divario risulta maggiore in uscita dalla scuola secondaria superiore, con oltre 15 punti di distacco tra regioni del Nord e del Sud: oltre il 60% di studenti non raggiunge il livello base delle competenze in italiano in Campania, Calabria e Sicilia ed il 70% di allievi fa registrare un livello insufficiente in matematica nelle medesime regioni ed in Sardegna. Si tratta di dati che confermano la persistenza di una “dispersione implicita”, determinata da tutti gli studenti che, pur non avendo abbandonato i banchi di scuola, concludono il ciclo di studi secondari senza aver raggiunto esiti di apprendimento soddisfacenti e senza essere riusciti a sviluppare le competenze utili ad entrare nel mondo universitario o lavorativo. Ma anche la percentuale dei reali “dispersi” alla fine del percorso di istruzione risulta più elevata nelle regioni Meridionali rispetto alla media nazionale, con la punta massima in Campania (19,8%).

Tutti i dati esaminati rimandano ad una constatazione di fatto: «I territori dove è più alto il numero di studenti che provengono da famiglie con livelli socioeconomici più bassi, sono anche quelli dove gli stessi studenti hanno più difficoltà a raggiungere i livelli di apprendimento adeguati»[4]. E proprio in questi stessi territori l’offerta di spazi e servizi educativi a scuola è più carente.

Un’offerta diseguale di spazi, servizi e strutture adeguate

Gli studi hanno dimostrato che “un’offerta adeguata di spazi e tempi educativi” incide positivamente nella riduzione delle “disuguaglianze educative”. I dati esaminati nel rapporto a cura di Save the Children mettono in evidenza una ineguale distribuzione dell’offerta di servizi ed infrastrutture adeguate, con una forte penalizzazione delle province in cui si concentrano maggiormente i minori più svantaggiati sul piano socioeconomico e che ottengono esiti di apprendimento più insoddisfacenti.

Per avere una chiara percezione della situazione reale, basti osservare la tabella sottostante, tratta dal documento[5], che mette a confronto dieci province sulla base dell’offerta di servizi e infrastrutture adeguate, dei punteggi medi più alti e più bassi in italiano e matematica e delle percentuali di dispersione implicita più basse e più alte:

Figura 3 – Offerta di servizi e infrastrutture adeguate, confronto tra 10 province

Una scuola che garantisce il tempo pieno, che offre il servizio mensa, che è dotata di spazi adeguati, come la palestra, fa la differenza, specialmente laddove è concentrato un numero elevato di studenti in svantaggio socioeconomico. A titolo esemplificativo, si riportano due grafici elaborati da Save the Children sulla base di dati INVALSI e Open Data Istruzione dell’anno scolastico 2020/2021[6]:

Figura 4 – Punteggi prove INVALSI Matematica e Italiano, a seconda dell’offerta scolastica, nelle province con elevato numero di studenti in svantaggio socioeconomico

Figura 5 – Percentuale di “Dispersione Implicita”, a seconda dell’offerta scolastica, nelle province con elevato numero di studenti in svantaggio socioeconomico

I dati mostrano palesemente alcune debolezze della scuola italiana che, inevitabilmente, vanno ad incidere su quello che dovrebbe essere il suo mandato costituzionale, pur nella consapevolezza che si tratti solo di alcune delle variabili che concorrono alla “qualità dell’offerta formativa”, unitamente ad altre relative alla qualità dei “processi educativi” a scuola, quali il curricolo, la didattica, etc.

Ad ogni buon conto, anche il possesso o meno del certificato di agibilità lancia un segnale su cui riflettere: «Il possesso di un certificato di agibilità della struttura scolastica non può essere considerato di per sé un indicatore di qualità degli spazi scolastici, ma potrebbe fornire una possibile indicazione circa la cura riservata alla struttura scolastica da parte di chi è chiamato ad amministrarla e concorre insieme agli altri indicatori considerati a evidenziare un quadro dell’offerta di spazi e servizi educativi di qualità»[7]. Ebbene, risulta che solo circa quattro scuole su dieci a livello nazionale siano dotate del certificato di agibilità ed anche in questo caso i divari tra i territori sono evidenti[8].

Investire nella scuola pubblica, per rilanciarla

«Dopo due anni terribili per la scuola, gli studenti e loro famiglie, l’Italia ha la possibilità, grazie anche ai finanziamenti stanziati dall’Unione Europea con il Next Generation EU, di investire nella scuola. Investire di più e meglio. Non per un ritorno alla normalità, ma per un vero e proprio rilancio della scuola pubblica: per trasformarla e metterla in condizione di poter affrontare le sfide educative future, combattere efficacemente la dispersione scolastica e dare la possibilità a tutti gli studenti e le studentesse di acquisire le competenze essenziali per crescere ed avere una vita attiva»[9].

Questo è l’auspicio e il monito lanciato da Save the Children nel rapporto, mettendo in evidenza che fino ad oggi, non si è ancora investito abbastanza per rilanciare la qualità dell’offerta formativa: «è fondamentale intervenire sull’adeguatezza della spesa corrente attuale per l’istruzione del nostro Paese, ma anche sulla sua distribuzione e sull’efficacia del suo utilizzo, al fine di mettere a disposizione maggiori risorse per tutte le scuole, ed in particolare per quelle che si trovano in territori particolarmente difficili, dove il disagio sociale ed economico è più forte»[10].

In merito, in questo momento, si sta giocando una partita importante, che riguarda l’utilizzo mirato delle ingenti risorse a disposizione nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), anche tenendo conto che, fino ad oggi, l’Italia ha destinato alla scuola una percentuale più bassa del Prodotto Interno Lordo (PIL) di quasi tutti gli altri Paesi dell’UE. Il rapporto, a questo proposito, richiama i dati del 2020, in quanto anno cruciale a causa della pandemia da COVID-19 e che ha visto un incremento temporaneo dei finanziamenti a livello europeo proprio per fronteggiare le forti criticità contingenti, che hanno colpito duramente anche la scuola. Ebbene, a fronte di una media europea del 5% di PIL destinato all’istruzione, l’Italia si è fermata solo al 4,3%, come si evince dal grafico di seguito riportato.

Figura 6 – Percentuale del PIL destinato alla spesa per l’istruzione nei Paesi UE

In questa prospettiva, preoccupa la previsione del Documento di economia e finanza (DEF) del 2022, in base alla quale la percentuale di PIL a favore della scuola diminuirà al 3,5% nel 2025, per stabilizzarsi al 3,4% a partire dal 2030, a causa della denatalità e del conseguente minor numero di studenti stimato per il futuro.

Dagli approfondimenti effettuati dal gruppo redazionale di Save the Children Italia, è risultato che la spesa per l’istruzione nel nostro Paese sia maggiore per le risorse umane, benché gli stipendi dei docenti italiani siano inferiori alla media OCSE. Le ragioni sono da rinvenire nell’elevata anzianità dei docenti italiani rispetto ai colleghi europei, che comporta costi più elevati. La quota di investimenti più bassa riguarda in Italia proprio gli spazi e i tempi adeguati all’apprendimento, che, invece, necessiterebbero di essere rafforzati “per combattere le disuguaglianze” [11].

Fondi e misure per ridurre ed arginare le disuguaglianze

Nel rapporto vengono suggerite una serie di misure, oltre quelle a cui si è già qui fatto cenno, che sono ritenute indispensabili per ridurre i divari e le disuguaglianze. Tali misure saranno oggetto di un dettagliato approfondimento in un prossimo numero di questa newsletter.

A monte, comunque, vi è la necessità di fare scelte mirate, secondo una prospettiva di ottimizzazione delle risorse a disposizione, a partire dai fondi stanziati dal PNRR. In proposito, si fa riferimento alla necessità di «analizzare come questi fondi atterreranno sui territori e che contributo daranno alla riduzione dei divari educativi del nostro Paese». Si ha la consapevolezza che, nonostante gli sforzi “per superare la logica dei “bandi” per focalizzare gli investimenti nelle aree più deprivate”, si corra il rischio di “una semplificazione eccessiva dei criteri utilizzati, con l’effetto di una distribuzione delle risorse non centrata sulle reali necessità”[12].

Resta sullo sfondo una certezza: bisogna “investire di più e meglio per l’Istruzione Pubblica”[13], affinché la scuola possa davvero «rappresentare un argine alla crescita delle disuguaglianze, garantendo a tutti i minori le opportunità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni»[14].


[1] Save the Children Italia, Alla Ricerca del tempo perduto. Un’analisi delle disuguaglianze nell’offerta di tempi e spazi educativi nella scuola italiana, settembre 2022, p. 3.

[2] Op. cit., p. 4.

[3] Op. cit., p. 7.

[4] Ibidem.

[5] Op. cit., p. 8.

[6] Op. cit., p. 9.

[7] Op. cit., p. 14.

[8] Cfr. op. cit., p. 14: «Nelle province campane e della Basilicata, ad esempio, circa la metà delle scuole sono prive del certificato. La maggior parte delle province del Lazio ha invece percentuali di scuole con certificato di agibilità inferiori al 20%. Nel Sud e nelle Isole, in particolare Sardegna, Calabria e Sicilia, ben più del 60% delle scuole secondarie di primo grado non possiede un certificato di agibilità».

[9] Op. cit., p. 5.

[10] Op. cit., p. 23.

[11] Cfr. op. cit., p. 24 e sg.

[12] Op. cit., p. 27.

[13] Op. cit., p. 41.

[14] Op. cit., p. 3 e cfr. Save the Children, La Lampada di Aladino, 2014.