Ripensare alla scuola che vogliamo

Tra i bilanci e le speranze ci sono i timori

“La Repubblica siamo tutti noi”. Ce lo ha ricordato il Capo dello Stato nel discorso di fine anno. Anche se tale monito è, di fatto, il leit motiv dei 75 anni della storia repubblicana, la sottolineatura del Presidente Mattarella era quanto mai necessaria proprio per esorcizzare il “benaltrismo”, un espediente retorico assai diffuso nel nostro Paese, e per ricordare a tutti le nostre responsabilità: di “donne e uomini che si impegnano nelle loro famiglie”; di persone che lavorano; di cittadini “che pagano le imposte”.

Ma il monito era anche rivolto alle forze politiche che “nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo” e “tutte, in tempi diversi, si sono trovate di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare”. 

La difficile strada dell’ottimismo

Anche la scuola ha bisogno di tutti noi, delle persone che credono nel futuro e che si impegnano affinché il domani sia migliore dell’oggi. Ma non è sempre facile. Il miglioramento non è un processo automatico e garantito, è una conquista continua.

Quando finisce un anno è naturale fare un bilancio per cercare di ridisegnare l’anno che verrà: ogni persona lo fa ripensando alle proprie scelte di vita, ogni cittadino lo fa guardandosi indietro per capire se le tante promesse sono andate a buon fine. Dai bilanci è facile però cadere nella sfiducia ed è difficile orientare le analisi verso una visione di cauto ottimismo. Tuttavia ce la possiamo fare se ci impegniamo a non enfatizzare solo gli insuccessi, le contraddizioni e gli impegni mancati, che sono sicuramente di più facile evidenza, ma a cercare, tra le tante insoddisfazioni, ciò che appare meno negativo, anche se di lieve entità. È un esercizio abbastanza faticoso ma utile, a patto però che non diventi una modalità per giustificare sempre ciò che non ha funzionato.

L’atteggiamento vigile, critico e costruttivo è quello che può aiutare ad arricchire la nostra scuola. Ed è quello a cui si ispira la nostra Newsletter settimanale.   

Ma che tipo di scuola si sta delineando?

Le frequenti esternazioni del nuovo Ministro dell’istruzione e del merito sono sempre piene di enfasi educativa: qualcuno dice di ancien régime, ma che comunque sembrano voler disegnare la scuola della serietà, dello studio e del merito. È difficile non essere d’accordo su alcuni principi, anche se possiamo avere gerarchie differenti. La prima questione da verificare è quella della coerenza tra esternazioni e conseguenti scelte politiche, economiche e amministrative.

Nella legge di bilancio 2023 (n. 197 del 29 dicembre 2022) sono pochi i commi che riguardano la scuola: 18 (di cui 7 specifici per le discipline STEM) su 903 commi che compongono la prima parte del documento. Tuttavia, quello numerico potrebbe non essere un parametro corretto se i contenuti risultassero coerenti con le dichiarazioni, se le risorse impegnate corrispondessero a quelle necessarie. Le scelte della “finanziaria” non sembrano, però, che siano andate verso questa direzione, anzi molti commi sono “in sottrazione”, cioè tolgono risorse anziché aggiungerne. Vediamo perché.

Cosa significa investire sulla scuola

Perché una scuola funzioni bene è necessario che tutte le sue parti siano ben armonizzate e che le diverse criticità possano essere prese in carico da un sistema ben articolato e coeso. C’è in primo luogo il personale scolastico che deve essere adeguato alle esigenze educative; ogni scuola deve poter far riferimento a strutture tecniche e digitali ben funzionanti, deve poter contare su risorse economiche sufficienti, deve poter fruire di spazi e di ambienti accoglienti.

Una grande responsabilità è a capo del Dirigente scolastico che deve non solo garantire il buon funzionamento del servizio, ma soprattutto il potenziamento della qualità dell’offerta formativa, se l’obiettivo è quello di aiutare gli studenti a conseguire saperi e conoscenze utili per la loro vita presente e futura e a diventare cittadini responsabili.

Le condizioni di lavoro dei Dirigenti scolastici, specialmente negli ultimi anni, sono state, come è noto, molto pesanti: dovendo soprattutto rispondere alle emergenze non sempre e non tutti sono stati in grado di dedicare tempo per la cura educativa, per lo sviluppo professionale, per motivare le persone, per stimolare la produzione di idee, per fare in modo che tutti i membri della comunità scolastica si sentissero protagonisti di un progetto condiviso.

Due garanzie: la dirigenza scolastica e la dirigenza tecnica

Ora, che non siamo più nella fase acuta dell’emergenza, il tempo è giusto per ripensare ad una scuola come vera comunità. Una prima misura poteva essere, per esempio, quella di assicurare a tutte le istituzioni scolastiche la presenza di un dirigente e di un DSGA; eliminare quindi le reggenze e rendere possibile l’autonomia anche alle scuole non eccessivamente numerose, per esempio di 600 alunni, come era inizialmente indicato nel DPR 18 giugno 1998, n. 233. Sarebbe stato un modo semplice ed efficace per potenziare quella leadership per l’apprendimento necessaria per migliorare gli esiti formativi dei nostri studenti.

Un’altra misura poteva essere quella di garantire alle scuole un supporto esterno da parte di una dirigenza tecnica, intesa come espressione di alta professionalità in ambito educativo. Per questo sarebbe stato necessario bandire subito concorsi volti a selezionare le professionalità adeguate per aiutare le scuole ad affrontare meglio le situazioni problematiche; per attivare strategie di coesione, confronto e coordinamento; per avviare processi di monitoraggio, innovazione e sperimentazione; per suggerire interventi orientati a qualificare sempre di più il servizio scolastico. La legge di bilancio non è andata però verso questa direzione.

Quale dimensionamento è previsto per i prossimi anni?

Uno strano modo di migliorare la governance delle scuole è quello ipotizzato dalla legge di bilancio. Gli articoli 557-559 prevedono, di fatto, l’innalzamento dei parametri di dimensionamento riducendo, anziché aumentando, le autonomie scolastiche e costringendo i Dirigenti a gestire un numero maggiore di plessi che possono risultare distanti tra di loro anche di diverse decine di chilometri. La motivazione addotta, quella della diminuzione della natalità e quindi della popolazione scolastica, in realtà contraddice la scelta. Perché aumentare la dimensione dell’istituzione scolastica se diminuiscono gli alunni? Sarebbe molto più semplice diminuire il numero degli alunni per classe, laddove le classi sono numerose, o accorparle se le classi sono già ridotte, sulla base delle risorse disponibili.

Con queste misure, nell’arco di un decennio le istituzioni scolastiche si ridurranno notevolmente: dalle attuali 8136, nel 2031-2032, si passerà a 6885 unità. È pur vero che i risparmi verranno ridistribuiti sulle scuole. Ma siamo sicuri che tale ed eventuale ridistribuzione vada a produrre risultati positivi?

Un dirigente scolastico deve essere messo nelle condizioni di poter esercitare la più delicata delle sue funzioni, quella della cura delle persone. Non può farlo se deve gestire un contesto di aumentata complessità e se non può contare sul supporto tecnico esterno, come potrebbe essere quello del corpo ispettivo. Un coefficiente di 900-1000 studenti, come prevede la legge di bilancio, porterà automaticamente ad un aumento delle competenze amministrative e procedurali con effetti deleteri per la leadership educativa.

La ricaduta sulla governance scolastica del Paese

Non va inoltre sottovalutata la ricaduta di tale scelta sulla governance nazionale del sistema scuola per l’accentuarsi del disequilibrio Nord-Sud. La situazione attuale, che si perpetua da diversi decenni, è quella di un Nord del Paese che lamenta la mancanza di Dirigenti scolastici del proprio territorio, che attrae professionisti che provengono dal Sud ma che, molto raramente, si stabilizzano al Nord. In queste fasce territoriali, a seguito della legge di bilancio, non ci sarà una modifica sostanziale del numero di Istituzioni scolastiche, per via dei precedenti dimensionamenti già abbastanza congrui con le attuali disposizioni.

Differente è la situazione al Sud del Paese: qui c’è un rapporto diverso tra domanda ed offerta tale che, nel tempo, ha determinato il precariato che tutti conosciamo. Qui, malgrado i processi di dimensionamento siano stati nel passato poco congrui con le disposizioni normative, non ci sono comunque posti vacanti per i futuri aspiranti dirigenti; questi saranno costretti, ancor più dopo l’applicazione degli attuali parametri, a trovare sbocchi professionali nelle regioni del Nord. Il rischio che si corre è l’instabilità del personale dirigente che, verosimilmente, sarà costantemente attratto dal ritornare nei territori di provenienza, con conseguente instabilità delle scuole. Il risultato, quindi, di tale misura potrebbe essere quello di danneggiare la scuola in tutte le regioni.

Ancora un rinvio per i dirigenti tecnici

Ci sono, nella legge di bilancio, due commi (885 e 886) che potrebbero passare inosservati anche agli addetti ai lavori. Sono scritti, come avviene molto spesso, in maniera criptica, non c’è un titolo e non si cita l’argomento di riferimento. C’è il solito sistema “a scatole cinesi”: si modificano parole di articoli di legge che rinviano ad altri articoli di legge.

Questi commi riguardano, comunque, i dirigenti tecnici: rinviano ancora per due anni un concorso che si attendeva da oltre un decennio e confermano per due anni gli incarichi temporanei. Di fatto la legge stabilisce che l’assunzione dei primi 59 dirigenti tecnici a tempo indeterminato è posticipata dal 2021 al 2024 e quella dei restanti 87 prevista per il 2023 è posticipata al 2025.

Quale pensiero di scuola ha ispirato questa scelta? Quello che i dirigenti tecnici non servono e quindi ne possiamo fare a meno? quella che queste figure possono essere sostituite da personale di fiducia da incaricare quando è necessario?

In tutti i sistemi europei ci sono figure tecniche necessarie per la qualificazione dell’azione amministrativa in campo educativo; per le funzioni di supporto alla formazione, innovazione e ricerca; per le azioni di monitoraggio, consulenza e accertamento; soprattutto per la valutazione e il miglioramento del sistema nazionale d’istruzione.  

Già da tanti anni stiamo vivendo una situazione molto critica per via della costante erosione del contingente, che è diventato del 27% rispetto a quello degli anni Ottanta, ma che, di fatto, è ancora inferiore perché da anni non si effettuano concorsi.

La scelta degli incarichi temporanei

La rarefazione di concorsi pubblici per titoli e esami ha determinato che il contingente, già estremamente esiguo, rimanesse anche privo di titolari. È intervenuto, in “termini suppletivi”, il D.lgs. 165/2001 e, successivamente, il comma 94 della legge 107/2015. Il susseguirsi, a partire dal 2002, di incarichi temporanei, pur risolvendo alcune situazioni emergenziali, non ha radicato le competenze e le funzioni di un corpo professionale stabile, ancor più ha reso precario e saltuario il supporto alle scuole nelle scelte pedagogiche ed organizzative. Procrastinare di altri due anni l’istituto dell’incarico significa indebolire ulteriormente la funzione. A meno che non si intenda fare diventare permanente questa scelta.

Ciò che è difficile accettare è l’ambiguità di tutti i governi, che si sono succeduti in questi ultimi decenni, sulla funzione ispettiva: alle dichiarazioni di principi e agli eccellenti documenti che delineano funzioni e competenze (vedasi anche il Decreto ultimo del 21 febbraio 2022, n. 41) non sono mai conseguite scelte politiche ed azioni amministrative conseguenti. È questo un sistema sicuro per far morire una professione. Ma anche questa potrebbe essere una scelta, basta decidere se e come sostituire il “corpo ispettivo”. È una questione di “idea di scuola”.

Ma non perdiamoci d’animo

Abbiamo una democrazia matura, abbiamo una Costituzione che ci protegge. Continueremo a confrontarci con i problemi che ogni giorno si fanno sempre più complessi e con i tanti limiti che incontreremo lungo i nostri percorsi professionali. Impareremo anche a scovare le positività nascoste e a costruire, su queste, futuri migliori. Perché noi, si sa, siamo inguaribili ottimisti.