Demografia e scuola che verrà

Ci stiamo occupando di ciò che conta?

Le parole, come le nuvole di Fabrizio De André, “vanno/vengono/ogni tanto si fermano”. Il discorso pubblico si dispone come un caravanserraglio di espressioni tonitruanti o afone, precoci o tardive, ricercate o sciatte, destinate a lasciare un segno o a scivolar via come acqua sui vetri.

Solo che il discorso pubblico, per lo più, non asseconda il buon senso, ma il senso comune: interessato al “qui e ora”, nella sua immediatezza, nella sua istantaneità. E invece, ogni tanto, occorrerebbe chiedersi: ci stiamo davvero occupando di ciò che conta? I dissidi, le dispute e i contrasti a che cosa servono se sfugge l’essenziale, ciò che, in prospettiva, è destinato a cambiare la vita delle persone? La realtà meriterebbe più ascolto, perché, testardamente, può indicarci, sin d’ora, quel che sarà.

È appena uscito un libro il cui valore consiste nel porsi fuori, nell’essere altrove, rispetto al chiacchiericcio quotidiano. Si deve a Gianluigi Bovini e Franco Chiarini, statistici e demografi.

191 paginette

Si intitola Cercasi lavoratori. L’impatto dell’inverno demografico sul mercato del lavoro in Italia, in Emilia-Romagna e nella città metropolitana di Bologna. Frutto di un progetto promosso da Fondazione Generazioni in collaborazione con CISL Pensionati e CISL Area Metropolitana Bolognese, appena pubblicato, a Bologna, da Pendragon. Sono 191 paginette bene impostate graficamente, con la cura dell’editore artigiano, ricche di grafici e tabelle, che consentono di far procedere la lettura sul filo della piena coscienza dei riscontri fattuali, di cui considereremo qui la parte di profilo più generale, anche se il racconto non manca di stabilire un confronto con il contesto territoriale dell’Emilia-Romagna e dell’area metropolitana bolognese.

Il tema è la denatalità

La denatalità, senza accenti ideologici, considerata in modo asciutto e “tecnico”.

Com’è noto, anche grazie ai progressi ottenuti dal punto di vista dell’aspettativa di vita e della durata media della vita, siamo il Paese che vanta un primato nel mondo per il numero delle persone di età superiore ai 64 anni. Al momento gli anziani sono più numerosi degli under 25 ed entro il 2040 supereranno gli under 35.

Una tendenza demografica positiva è stata registrata fino all’inizio del 2014: dai circa 57 milioni di residenti si è saliti, infatti, sino a quasi 60,346 milioni. Poi c’è stata una brusca inversione di tendenza che ha ridotto il totale della popolazione italiana, al 1° gennaio 2022, a 59.030 milioni di abitanti.

Una china discendente

Rebus sic stantibus, al 1° gennaio 2070 la china discendente dovrebbe arrivare a 47,722 milioni di abitanti, con un saldo negativo di oltre 11,5 milioni di persone (-19,4%), che porterebbe, nei prossimi 50 anni, alla scomparsa di quasi un quinto della popolazione nazionale.

Sempre meno giovani, sempre più anziani, con una rilevante riduzione della popolazione in età evolutiva. Ciò, nonostante un movimento migratorio, nel periodo 2021-2070, stimato in oltre 6,5 milioni di unità. Non senza conseguenze sull’equilibrio tra le coorti di età e le generazioni. Si prevedono un innalzamento ulteriore dell’aspettativa di vita, fatto decisamente positivo, per gli uomini, da 80 anni a 86,5, per le donne, da 84,6 anni a 89,5, e un indice di vecchiaia che, sempre tra il 2021 e il 2070, potrebbe salire da 183 a 294 anziani ogni 100 bambini.

Ciò comporterebbe la scomparsa di quasi una persona su tre in età lavorativa con implicazioni sulle dinamiche del mercato del lavoro e sul welfare. Un radicale calo della popolazione in età lavorativa e la conseguenza di passare da 57 persone inattive ogni 100 potenzialmente attive nel 2021 a 84 persone inattive nel 2070.

Conseguenze sul PIL

La riduzione delle nascite, secondo Gianluigi Bovini e Franco Chiarini, sarebbe in parte determinata dal progressivo calo del numero delle donne in età riproduttiva.

Nella fascia centrale tra i 25 e i 39 anni, nel periodo 1° gennaio 2007 – 1° gennaio 2022, spiegano gli autori, si è, infatti, registrata un’ulteriore riduzione della popolazione femminile in età feconda: “nello scenario mediano delle previsioni tra il 1° gennaio 2022 e il 1° gennaio 2070 le donne in età da 25 a 39 anni calerebbero di circa 1.209 milioni di unità (da oltre 4.726 a quasi 3.517 milioni, pari a -25,6%)”.

Potrebbe verificarsi, in tal modo, anche una contestuale diminuzione del PIL pro capite del 16,2% e del PIL totale del 24,4%.

Uno scenario oggettivamente allarmante.

Una questione destinata a diventare centrale e che richiede una riflessone profonda su tutta l’organizzazione dei servizi alla persona, a partire dalla scuola.

La demografia non è un destino

Nella presentazione del libro, a cura di Sergio Palmieri (Presidente Fondazione Generazioni), Alberto Schincaglia (Segretario Generale FNP-Cisl Area Metropolitana bolognese) ed Enrico Bassani (Segretario Generale Cisl Area Metropolitana bolognese), si afferma che quella demografica rappresenta, per il nostro Paese, “una emergenza altrettanto grave e importante di quella climatica ed ambientale”.

La prefazione di Franco Mosconi, Professore di Economia e politica industriale dell’Università di Parma, evidenzia, in estrema sintesi, che avremo un “Paese più piccolo”.

Ma, nella loro Premessa, Gianluigi Bovini e Franco Chiarini insistono su un concetto, poi ripreso e argomentato, in particolare, nel cap. 5: “la demografia non è un destino”.

Una visione di lunga durata

Ciò che accadrà dipende dalle soluzioni – o dalle mancate soluzioni – che verranno elaborate da ora al 2070. Ma siamo certi che si intenda affrontare questa complessità e si voglia farlo con la dovuta efficacia?

Prima di tutto sarebbe indispensabile abbandonare il piccolo cabotaggio e affrontare una prospettiva di longue durée. Come qualcuno ha detto: Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. O meglio, alle prossime generazioni.

L’analisi di Gian Luigi Bovini e Franco Chiarini non poteva trascurare il fenomeno NEET (Not in Education, Employment or Training), riprendendo lo studio di Alessandro Rosina[1].

Una vera e propria dissipazione di un capitale sociale inestimabile: nel 2021 pari al 23,1% contro una media UE del 13,1%, del 9,2% in Germania, del 12,8% in Francia, del 14,1% in Spagna.

L’emigrazione in atto

Altro fenomeno tutt’altro che positivo: l’emigrazione di giovani. Osservano Gian Luigi Bovini e Franco Chiarini: nel corso del decennio 2012-2021 si è verificato oltre un milione di espatri, di cui circa un quarto in possesso della laurea, mentre i rimpatri, nello stesso periodo, sono stati poco più di 443mila. Senza dimenticare che la percentuale dei laureati ci colloca agli ultimi posti in Europa, si può serenamente riconoscere che in Italia, anche a seguito della questione demografica, si sta delineando un’enorme questione educativa.

Le soluzioni?

Le soluzioni spettano all’intero Paese, al suo collocarsi tra i Paesi fondatori dell’Unione Europea, agli orientamenti dell’opinione pubblica, al contributo dei corpi intermedi, alle istituzioni e – ovviamente, senza alzare troppo l’asticella delle aspettative – ai decisori politici.

Gian Luigi Bovini e Franco Chiarini non mancano di suggerire, intanto, alcune “possibili linee di intervento”, che sintetizzano nel modo seguente:

  • mettere i giovani al centro di una nuova fase di sviluppo dell’Italia;
  • programmare e qualificare i flussi migratori;
  • promuovere e realizzare un nuovo protagonismo femminile nella società e nel mercato del lavoro;
  • affrontare in modo lungimirante le sfide del vivere sempre più a lungo.

Cominciare sin d’ora a ripensare al numero di studenti per classe

Essere coscienti della tendenza in atto può consentire, nella scuola, di ripensare, in vista dei prossimi anni scolastici, all’organico e alla formazione delle classi, dotandosi di una programmazione poliennale, al fine di governare il cambiamento e di non subirlo, evitando, da un lato, che ciò è prevedibile e previsto diventi l’ennesima emergenza vissuta come una sorpresa dell’ultimo istate, dall’altro considerando suggerimenti come quelli espressi da Luciano Rondanini nelle ultime righe del suo articolo dal titolo Decremento demografico e dispersione scolastica. Come trasformare un problema in opportunità, pubblicato nel numero 348 di “Scuola7” del 3 settembre scorso. Ecco:

  • tetto massimo di 15 alunni in presenza di studenti con disabilità o con DSA;
  • tetto massimo di 20 allievi negli altri casi.

Utopia? Oppure realistica presa d’atto che la riduzione della popolazione scolastica comporta la possibilità di por mano ad un problema non del tutto risolto, superando alla radice l’inconveniente delle classi sovraffollate, per rendere più coerenti concetti quali l’innovazione metodologico-didattica, il contrasto alla dispersione, l’opportunità del successo formativo.


[1] A. Rosina, NEET: giovani che non studiano e non lavorano, Vita e Pensiero, 2015.