Aspettando il concorso a Dirigente scolastico

Cosa si chiede al Dirigente di «nuova generazione»?

È tempo di concorsi! Sembra che i decisori politici abbiano preso coscienza che il primo presupposto per migliorare la scuola, e soprattutto per combattere la dispersione, sia quello di garantire insegnanti a tutti gli studenti e in tutte le discipline. Ma non basta: ogni scuola deve poter far conto su una struttura organizzativa adeguata (segreteria con tutte le figure necessarie) e soprattutto non può fare a meno del Dirigente scolastico.

Siamo in attesa, quindi, di tanti bandi, in modo particolare di quello ordinario a Dirigente scolastico, ai sensi del Decreto 194/2022, e di quello straordinario ai sensi del decreto 107/2023.

Assumere quasi 1.000 Dirigenti all’interno di un contingente di circa 8.000 può significare un cambiamento di rilievo che potrebbe incidere positivamente sul nostro sistema scolastico, potrebbe portare nuova linfa e nuove opportunità per tutti gli studenti, specialmente per i più fragili. Si tratta, però, di capire se i nuovi Dirigenti si porranno sulla strada della continuità e della tradizione o se invece saranno capaci di interpretare in maniera innovativa ed efficace le attuali esigenze della società e, soprattutto, i tanti e nuovi bisogni formativi degli studenti.

Saranno dirigenti di “nuova generazione”?

Ma cosa significa essere dirigenti di nuova generazione? Se lo chiedeva Giancarlo Cerini nel 2015[1] sottolineando: “Al Dirigente scolastico si chiede di gestire l’organizzazione di una scuola, promuovendo la qualità dell’istruzione, in un ambiente educativo capace di portare ciascun allievo a dare il meglio di sé”.

È una affermazione che non può essere smentita, ma a distanza di otto anni deve essere riletta a partire da alcune domande che la realtà attuale ci impone di porci.

  • La prima è di carattere generazionale.
  • La seconda attiene ai cambiamenti di paradigma della società attuale.
  • La terza è collegata all’autoefficacia del Dirigente scolastico (oggi a rischio).
  • La quarta riguarda il divario tra apprendimento individuale e crescita collettiva.
  • C’è poi una quinta considerazione collegata all’evoluzione della funzione dirigenziale durante e dopo la crisi pandemica, ai nuovi trend sociali e alle risposte ai nuovi bisogni formativi.

Questione generazionale

Secondo le scienze sociali la generazione è un aggregato di individui (all’interno di una popolazione comunque definita) che ha sperimentato lo stesso evento nello stesso intervallo di tempo. Per cui nello stesso lasso di tempo, possono essere presenti più generazioni. Sono, quindi, persone che hanno in comune esperienze di vita simili, tendenze socio-culturali e di mercato.

Le ultime cinque generazioni, diverse e a volte incompatibili

GenerazioneCaratteristiche
Baby BoomersNati tra il 1945 e il 1964. Hanno vissuto il boom economico e l’esplosione demografica. Hanno fiducia nell’economia, tendono ad essere ottimisti e individualisti.
Generazione XNati tra il 1965 e il 1979. Hanno vissuto le rivoluzioni sociali e avuto esperienze molto differenti. Sono stati i primi a conoscere Internet, sono particolarmente intraprendenti.
Generazione Y MillennialsNati tra il 1980 e il 1994. È la prima generazione a crescere con Internet e computer. Sono ottimisti e tolleranti, ambiziosi e competitivi.
Generazione Z o CentennialsNati tra il 1995 e il 2010. Sono nativi digitali, conoscono il web e i social network, sono aperti, meno rigidi rispetto alle generazioni precedenti, multiculturali.
Generazione Alpha, i figli dei MillennialsNati dopo il 2011. Gestiscono una grande quantità di stimoli, hanno familiarità con l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale. Sono attenti ai temi sociali.

I dirigenti scolastici, escludendo una parte di Baby boomers, appartengono in genere alla X Generation e ai Millennials, ma devono rapportarsi con tutte le generazioni e lavorare per migliorare gli apprendimenti delle generazioni Alpha (nati dopo il 2010) e, in parte, anche Zeta (nati tra il 1995 e il 2010). Ma chi sono i giovani che frequentano le nostre scuole?

Come sono le generazioni Alpha e Zeta?

Spesso sono figli unici e di genitori non sempre giovanissimi. Molti sono figli di genitori stranieri o nati essi stessi in Paesi stranieri. Tendenzialmente sono abituati a viaggiare, ma anche a cambiare casa frequentemente. Imparano presto a percepire la diversità e le disuguaglianze sociali. Lo apprendono, in famiglia, dai social, a scuola…

Sono bambini che imparano ad usare i supporti digitali appena nati. Hanno per questo accelerato alcune modalità di apprendimento, ma non sappiamo ancora a quale costo. Sicuramente hanno tempi di attenzione più brevi e una modalità di reazione sociale diversa dalle generazioni precedenti.

Se pensiamo alle proiezioni sociali immaginiamo che entreranno nel mondo del lavoro più tardi rispetto ai propri genitori; forse si ammaleranno di più a causa della situazione del pianeta; ma potranno sviluppare sia una maggiore resilienza sia una maggiore fragilità; l’attenzione all’ambiente e a una economia sostenibile sarà uno dei fattori chiave per cui lotteranno; il senso del lavoro potrebbe essere completamente diverso, anzi, il lavoro così come attualmente lo intendiamo potrebbe non esistere più; avranno più tempo libero per fare sport, per gli hobby, per lo svago…

Quale dialogo con la generazione Alpha?

La generazione Alpha è molto diversa dalle precedenti, principalmente perché è già cresciuta con la tecnologia avanzata che noi stiamo scoprendo man mano. Il tempo dell’apprendimento sarà amplificato attraverso l’introduzione massiva di nuove forme e modelli educativi per tutte le fasce di età. Secondo le proiezioni di UNESCO, i bambini nati dopo il 2010 studieranno per almeno 12 anni. Ogni anno di istruzione in più si traduce in una percentuale aggiuntiva di guadagno medio del 10%. È una generazione che non avrà paura di sperimentare.

Quale dialogo, dunque, sarà possibile stabilire affinché le generazioni cui appartengono i Dirigenti scolastici possano costruire il futuro per le generazioni cui appartengono gli studenti? 

Le parole che caratterizzano la X Generation o i Millennials sono: continuità, positività, proattività, solidità, appartenenza e costituiscono i presupposti su cui sono state costruite le competenze professionali. Come fare affinché tali competenze possano essere ancora efficaci per il futuro delle nuove generazioni considerando che oggi si sta vivendo un cambiamento epocale di tipo paradigmatico?

Cambiamenti paradigmatici

Il paradigma èquel complesso di principi, procedimenti metodologici e concezioni culturali universalmente riconosciuti, che fa da riferimento al lavoro della “comunità scientifica” di una determinata epoca o anche ai comportamenti di una determinata società.

La comunità scientifica, o la comunità sociale, è costituita da persone che, possedendo il medesimo paradigma, condividono la stessa visione etica, i criteri di giudizio, i modelli interpretativi, i metodi e le soluzioni per risolvere i problemi e ritengono necessario che le persone a loro affidate siano educate in base agli stessi contenuti e valori.

Quando, però, si verificano alcune anomalie o eventi nuovi ed insospettati tutto ciò entra in crisi e diventa necessario l’abbandono del vecchio paradigma. Quando cambiano i paradigmi, il mondo stesso cambia.

Durante questi cambiamenti si fanno nuove scoperte. Pensiamo al passaggio dall’astronomia tolemaica a quella copernicana, dalla dinamica aristotelica a quella newtoniana, pensiamo allo sviluppo della meccanica quantistica… sono cambiamenti paradigmatici.

L’espressione “cambiamento di paradigma” ha trovato utilizzo, però, anche in contesti non scientifici, soprattutto nel marketing. Nel linguaggio comune, per esempio, rappresenta, in linea generale, un cambiamento sostanziale in un certo schema di pensiero, ma anche un cambiamento radicale nelle convinzioni di una persona.

C’è stato un cambio di paradigma con la pandemia?

Qualcuno dice che il Covid abbia contribuito ad accelerare cambi di paradigmi: sul piano scientifico, sociale, commerciale, ma anche a livello di apprendimento.

Nella scuola abbiamo dovuto riflettere, senza ancora riuscirci, sulla distanza tra ricerche scientifiche, cambiamenti sociali e modelli di apprendimento che usualmente si privilegiano nella didattica. La tendenza alla digitalizzazione era in atto da tempo, ma la crisi pandemica ha agito come un acceleratore.  Pensiamo alla ChatGTP basata su intelligenza artificiale e apprendimento automatico: un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano[2].

La sostenibilità, per esempio, è sicuramente un cambio di paradigma, significa soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere quelli della generazione futura. Lasciare, cioè, alle generazioni future una qualità della vita non inferiore a quella attuale. Malgrado ci siano ancora molti scettici, il rapporto dell’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico), che opera sotto l’egida dell’Onu, conferma che le emissioni di gas serra di origine umana, alimentate soprattutto dai combustibili fossili, stanno allontanando gli obiettivi sul contenimento del riscaldamento globale. La sostenibilità è un obiettivo oggi globale grazie all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Ma questo cambiamento di paradigma rischia di mettere in discussione anche l’autoefficacia del Dirigente scolastico che ha la responsabilità della governance interna ed esterna della scuola.

Quando l’autoefficacia del Dirigente scolastico è a rischio

L’autoefficacia è la consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività. È la percezione che abbiamo di noi stessi come persone capaci di fare, sentire, esprimersi, essere o divenire qualcosa (Bandura). Gli obiettivi che desideriamo raggiungere derivano molto spesso dal sapere esattamente cosa siamo in grado di fare e con quali mezzi. 

Quando gli scopi, i principi, gli ideali, i saperi che si ritengono fondamentali sembrano collidere con la realtà, l’autoefficacia va in crisi.

Il carico di lavoro dei Dirigenti scolastici è sempre stato molto pesante, a volte, come in questo periodo, si ha la percezione che lo sia ancora di più.

L’emergenza pandemica li ha posti di fronte a situazioni completamente nuove le cui soluzioni molto spesso dovevano essere repentinamente inventate.

  • Le scadenze, le incombenze burocratiche, il tempo che manca sempre.
  • Il “fuoco incrociato” tra le richieste sfidanti, i conflitti permanenti, le tensioni nel personale.
  • Il problema quotidiano degli organici, delle supplenze, delle segreterie inefficienti.
  • Il senso diffuso di precarietà, le troppe comunicazioni istituzionali.
  • Le famiglie sempre più aggressive, i ragazzi sempre più fragili.

Sono situazioni che hanno messo e mettono costantemente in crisi l’autoefficacia del Dirigente. Il tempo, anziché offrire gli strumenti per risolvere i problemi, sembra accentuarli fino a determinare situazioni che appaiono insanabili.

Molti rimpiangono il passato come il “tempo felice”, una specie di “età dell’oro” della scuola che oggi sembra non esista più. In realtà, ogni fase storica ha avuto le sue rivoluzioni. Ogni rivoluzione ha comportato cambiamenti, ogni cambiamento ha prodotto situazioni complesse da affrontare sul piano organizzativo, relazionale, sociale, anche psicologico. Pensiamo a:

  • decreti delegati
  • scuola a tempo pieno
  • inclusione (all’origine si parlava di inserimento)
  • riforme ordinamentali
  • autonomia
  • e via dicendo…

Ogni fase storica ha avuto le sue difficoltà che hanno messo in crisi l’autoefficacia del Dirigente. A volte si dimentica anche che la crescita di una comunità è molto lenta rispetto alla crescita di una persona, e ciò accentua i problemi.

Divario tra crescita individuale e crescita collettiva

Tutti i professionisti che operano nella scuola hanno molte consapevolezze che costantemente sono messe alla prova:

  • si è consapevoli, per esempio, che alcune metodologie sono più efficaci di altre;
  • si sa quali comportamenti devono essere evitati per potenziare lo sviluppo sociale a scuola;
  • si conoscono gli effetti deleteri che alcune nostre abitudini possono produrre sul pianeta;
  • si conoscono le migliori teorie dell’apprendimento, come pure i principi e le pratiche per il buon governo della scuola.

Sperimentiamo, tuttavia, ogni giorno la distanza tra ciò che sappiamo, ciò che abbiano in animo di realizzare e ciò che, di fatto, riusciamo a conseguire nella scuola in cui operiamo. Molto spesso ci rendiamo conto che le nostre aspettative vengono deluse, non considerando quanto sia difficile diffondere una innovazione all’interno di una comunità anche perché i tempi di maturazione sociale sono molto più lenti rispetto a quelli personali.

Quando un Dirigente scolastico si rende conto che il collegio dei docenti è distante dalle proprie consapevolezze molto spesso si delude e si scoraggia e non considera neanche che la scuola, nella tradizione culturale, è il luogo in cui si “conservano” i saperi perché siano “trasmessi” alle nuove generazioni. Non è facile che un luogo, per millenni preposto alla conservazione, diventi, senza “oneri”, il luogo privilegiato per la ricerca e l’innovazione. Da qui la resilienza.

Chi è il Dirigente resiliente?

Se per resilienza in fisica si intende la capacità di un materiale di assorbire energia se sottoposto a deformazione elastica, in psicologia è la capacità di affrontare, resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo aver subito eventi particolarmente negativi e traumatici.

I dirigenti scolastici resilienti sono quelli che:

  • non si scoraggiano di fronte alle difficoltà e agli insuccessi
  • sono consapevoli dei problemi e delle difficoltà che si incontrano quotidianamente
  • hanno fiducia nelle proprie capacità
  • hanno entusiasmo nello svolgere le attività
  • hanno senso di responsabilità, ottimismo, empatia e attitudini a prendere decisioni, ottimismo
  • hanno la convinzione di poter dominare le situazioni, seppure parzialmente
  • hanno la propensione positiva per le sfide, concepite come molla per il cambiamento e non come ostacoli.

Ciò va collocato, tuttavia, all’interno delle norme che definiscono l’attuale funzione dirigenziale la quale, a seguito dell’autonomia, ha assunto una identità più articolata e complessa.

Evoluzione della funzione dirigenziale

Molti sono a sostenere che con l’articolo 25 del D.lgs. 165/2001 sia cambiata totalmente la funzione dirigenziale, orientata ora verso una logica prevalentemente manageriale. Ma è proprio così?

È vero, i capi d’istituto sono diventati Dirigenti scolastici (D.lgs. 6 marzo 1998 n. 59) a seguito della legge 59/1997; è vero anche che i Dirigenti scolastici sono rientrati nelle Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche con il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Articolo 25: “Dirigenti delle istituzioni scolastiche”).

Ma leggendo attentamente sia il D.lgs. 165/2001 sia la stessa legge 107/2015 (che lo rinnovella) ci rendiamo conto che c’è un delicato equilibrio tra dimensione monocratica e leadership distribuita. Le azioni indicate nella normativa non disegnano una funzione solo manageriale né indicano atti solo datoriali. Certamente, c’è il Dirigente con le sue responsabilità, i suoi “autonomi poteri di direzione”, le sue discrezionalità gestionali (lo attesta la presenza di verbi come «garantire, assicurare, dirigere, gestire…»). C’è però anche il Dirigente che fa riferimento alla comunità professionale, agli organi collegiali, ai legami con il territorio, con l’impegno a valorizzare pienamente le risorse professionali, è il Dirigente che svolge funzioni di coordinamento progettuale (lo attesta la presenza di verbi come «organizzare, coordinare, valorizzare, promuovere…» che rimandano proprio alla leadership per l’apprendimento).

Cosa si chiede, dunque, ai Dirigenti scolastici di nuova generazione?

Ogni Dirigente scolastico deve saper influire sulla scuola, sul territorio e, soprattutto, sugli studenti, ma nell’ottica delle nuove aspettative culturali e sociali.

Le nuove generazioni cercano un futuro che lasci spazio ad una espressività e ad un benessere che vada oltre gli impegni lavorativi. Il lavoro rappresenta solamente un aspetto della loro identità. Il sé professionale, oggi, tende a non occupare tutti gli spazi di vita: ogni persona è membro di una famiglia, di una comunità, è attiva in ambiti diversi ed eterogenei, ha interessi variegati, si occupa del sociale. Il futuro che dobbiamo costruire è meno lineare che in passato, è un futuro da immaginare e da inventare. La scuola non può essere da sola a gestire questo difficile processo. Ha bisogno di stabilire legami solidi con le famiglie, le altre istituzioni, gli Enti locali, le associazioni, il Terzo Settore proprio allo scopo di potenziare l’offerta educativa e per offrire nuove opportunità alle giovani generazioni: futuri desiderabili, dunque, oltre che possibili.

La scuola deve operare affinché ciò che oggi è solo desiderato diventi realizzabile. Nel 1961 John Kennedy sognava l’uomo sulla luna: nell’arco di 8 anni il sogno è diventata realtà. Per costruire i futuri desiderati si devono attivare i processi di conoscenza necessari e orientarli verso obiettivi mirati.

Il Dirigente di nuova generazione è colui che è consapevole delle strade da percorrere per rendere concreti i principi e le finalità che la storia recente ha assegnato alle sue responsabilità. Deve saper scegliere la direzione senza sbagliare le priorità: il coraggio è d’obbligo[3].


[1] G. Cerini (a cura di), Dirigenti di nuova generazione, Maggioli, 2015.

[2] Vedi Scuola7-345, 7 Agosto 2023, di R. Baldascino: “IA: rischio pericoloso o nuova opportunità per apprendere? Intervista a ChatGTP 3.5”.

[3] Vedi Mario G. Dutto, Quando il coraggio è d’obbligo Scuole, docenti e studenti alle prese con il futuro