Migliorare la qualità dei percorsi IFP

Dal Rapporto OCSE 2023

Ogni edizione del Rapporto OCSE sui sistemi educativi internazionali si concentra, in particolare, su alcuni temi specifici. Quello presentato lo scorso 12 settembre, presso la sala Aldo Moro del Ministero dell’Istruzione e del Merito[1], ha affrontato in maniera particolare il tema relativo all’istruzione e formazione professionale (IFP). Le ragioni di questa scelta sono illustrate nell’editoriale di apertura del Rapporto, a firma del Segretario Generale dell’OCSE Mathias Cormann[2].

Il tema centrale di “Education at a Glance 2023

Il presupposto su cui si fonda la scelta è la consapevolezza che profonde e continue trasformazioni stanno ‘rimodellando’ il modo in cui viviamo, impariamo e lavoriamo e che tali trasformazioni richiedono un mix di competenze, fondamentali per l’occupabilità. Si tratta di competenze relative alla risoluzione dei problemi, al lavoro di squadra e alla comunicazione. L’istruzione e la formazione professionale sono ritenute ‘vitali’ per lo sviluppo di questo tipo di competenze e per fornire un’alternativa all’istruzione accademica. L’IFP, difatti, può garantire agli studenti competenze orientate alla pratica e all’occupabilità, facilitando la transizione dalla scuola al mondo del lavoro e soddisfacendo la domanda di lavoratori qualificati.

Nei Paesi OCSE, il 44% di tutti gli studenti della scuola secondaria superiore sono iscritti a corsi di istruzione e formazione professionale; in alcuni paesi (come nella Repubblica Ceca e nei Paesi Bassi) questa percentuale supera i due terzi.

Nonostante questa quota elevata, in molti paesi l’IFP è vista come un’opzione di riserva per gli studenti che hanno difficoltà a scuola o mancanza di motivazione, piuttosto che come scelta ponderata che porta a percorsi di carriera attraenti.

Il Segretario Generale dell’OCSE sottolinea che, per affrontare le sfide del mercato del lavoro e guidare tutti gli studenti verso percorsi di istruzione adeguati a sviluppare talenti e aspirazioni, è necessario rendere l’IFP più attraente e accessibile. In questa prospettiva, l’ultima edizione di Education at a Glance fornisce una serie di nuovi dati transnazionali sui programmi professionali che aiuteranno i decisori politici a comprendere l’efficacia dei loro sistemi di IFP nel promuovere opportunità, inclusione e crescita sostenibile.

La necessità di migliorare la qualità dei percorsi di IFP

L’IFP è fondamentale per affrontare il ritmo sempre più rapido del cambiamento nella domanda di competenze. Nel corso della loro carriera, i lavoratori hanno bisogno di migliorare e riqualificare le proprie competenze più frequentemente, e i programmi di IFP possono contribuire allo scopo. Per renderla un’alternativa altrettanto valida all’istruzione accademica e per garantire che sia anche un trampolino di lancio verso l’ulteriore apprendimento, si rende necessario continuare a migliorare la qualità dell’IFP. Fondamentale sarà anche la stretta collaborazione con i datori di lavoro, per assicurare che l’IFP rimanga coerente alle esigenze del mercato occupazionale. Affinché i giovani possano fare scelte adeguate, anche sull’opportunità di seguire percorsi di IFP, è necessario che siano garantiti efficaci azioni di orientamento per incoraggiarli a esplorare l’intera gamma di opportunità di lavoro fin dalla tenera età, con l’opportunità di visitare i luoghi di lavoro e interagire con una serie di lavoratori ben prima che debbano prendere qualsiasi decisione finale in relazione al proprio futuro. L’OCSE, in quest’ottica, continua a lavorare per colmare le lacune nei dati e fornire le prove necessarie ai decisori politici per costruire sistemi di IFP migliori.

Percentuale di giovani under 35 in possesso di una formazione tecnico-professionale (diploma, ITS, laurea)

L’attenzione del nostro Paese ai percorsi di IFP

Nel suo intervento di apertura all’evento al MIM dello scorso 12 settembre, il Ministro Valditara ha ribadito che l’Italia deve accogliere la grande sfida dell’istruzione tecnico-professionale. In merito, ha annunciato che è in dirittura di arrivo una riforma (presentata in Consiglio dei Ministri il 18 settembre) da attuare in via sperimentale nel nostro Paese, con la consapevolezza che l’applicazione delle competenze in un contesto pratico e di apprendimento sul lavoro, facilita la transizione dalla scuola al lavoro stesso. D’altra parte, secondo la ricerca dell’OCSE, in Italia circa il 40% dei giovani di 15-19 anni è iscritto a percorsi di istruzione secondaria superiore a indirizzo tecnico-professionale, rispetto al 23 % dell’area dell’Ocse, ma con risultati inferiori rispetto alla. I tassi di occupazione dei diplomati nei tecnici professionali dopo uno o due anni dal conseguimento del titolo, infatti, sono i più bassi in tutta l’Ocse, con una percentuale pari al 55%.

La sperimentazione sembra che interesserà fino ad un massimo del 30% delle istituzioni scolastiche, con una ripartizione su base regionale. Si prevede un percorso di istruzione superiore ridotto da 5 a 4 anni, seguito da 2 anni di specializzazione presso gli ITS Academy, con la possibilità per le scuole interessate di aumentare ore di PTCO, oltre che percorsi di scuola-lavoro e di apprendistato formativo. L’attenzione si sposta in maggior misura sulle materie professionalizzanti, con la possibilità per le scuole di avvalersi di esperti esterni.

Nel corso del suo discorso introduttivo, il Ministro ha ribadito che la novità più significativa è l’introduzione del “campus”, pensato come una comunità composta da scuole, centri di formazione professionale e ITS Academy, ma con la possibilità di sbocco anche verso l’Università. Si tratta di un modello che guarda al maggiore tasso di occupazione per chi proviene dalla filiera tecnico-professionale e che mira a concentrarsi sulla centralità dello studente, offrendo percorsi d’istruzione personalizzati e flessibili. 

La via italiana per soddisfare “il bisogno di istruzione”

Nel consesso dedicato alla presentazione del Rapporto OCSE 2023, il Ministro Valditara ha sottolineato quanto sia necessario per il nostro Paese intervenire efficacemente per ridurre la percentuale di giovani senza un diploma (22%, secondo i dati OCSE) e, soprattutto, per superare il divario territoriale. È moralmente inaccettabile, afferma il Ministro, l’attuale persistenza di un’Italia spaccata in due. Un tentativo di riduzione di questo annoso gap tra Nord e Sud è affidato anche al piano “Agenda SUD”, rivolto a otto Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). Personalizzazione dell’insegnamento modellato sulle potenzialità degli studenti, attività di orientamento e tutoraggio in coerenza con le Linee guida per l’orientamento[3], promozione di una didattica innovativa e laboratoriale, maggiore tempo scuola e un organico aggiuntivo di docenti (specialmente per rafforzare le competenze in italiano, matematica e inglese) sono gli elementi chiave dell’Agenda Sud. Con un obiettivo ben chiaro, come ribadito da Valditara: «per aiutare i bambini e i ragazzi ad andare a scuola. Abbiamo bisogno di istruzione per vincere la sfida del disagio e per sottrarre i ragazzi alla criminalità».

In questa prospettiva, i suggerimenti del Rapporto sono ritenuti dal Ministro molto preziosi, soprattutto per alimentare e orientare il dibattito politico e prendere coscienza di quali siano le priorità su cui intervenire, in primo luogo per sottrarre i bambini e i ragazzi da contesti disagiati.

I costi necessari per l’educazione

Le parole di Valditara fanno ben sperare che si possa anche superare il cronico e generale sottofinanziamento dell’istruzione in Italia.

Spesa totale per l’istruzione dalla scuola primaria all’Università

Nel nostro Paese viene speso per tutto il comparto il 4,2% del Pil contro il 5,1% della media Ocse. L’unico grado di scuola in linea con gli altri Paesi risulta essere la scuola primaria, laddove c’è il tempo pieno. Per le scuole secondarie di primo e secondo grado l’Italia spende un quarto in meno di francesi e tedeschi e ormai siamo rimasti quasi gli unici a concentrare le lezioni solo al mattino in questi gradi scolastici. Per l’università la situazione risulta peggiore.

La sfida per un’educazione di qualità e per il successo formativo fin dalla prima infanzia

È un convincimento condiviso anche dal Ministro la necessità di iniziare precocemente l’educazione per combattere il rischio dispersione. Per Valditara, come pure per Roberto Ricci, (Presidente Invalsi e moderatore dell’incontro al MIM) è strategico puntare l’attenzione sul percorso iniziale da zero a sei anni, considerata una pietra miliare del nostro sistema formativo. Il responsabile del dicastero per l’istruzione e il merito ha ricordato l’impegno italiano anche attraverso l’utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), attraverso anche l’approvazione nel mese di febbraio di norme di semplificazione per consentire agli Enti Locali di realizzare nidi di infanzia con i fondi specifici del PNRR. Fondi mirati sono contenuti anche nel cosiddetto “decreto Caivano”[4]: diversi milioni sono stati stanziati per avvicinare l’Italia sempre di più ai target indicati dall’Europa. D’altra parte, proprio nel Rapporto OCSE è sottolineato quanto incidano negativamente a lungo termine le esperienze avverse nei primi anni di vita, quando i bambini vivono una rapida crescita. L’educazione e la cura della prima infanzia (ECEC) è considerata estremamente importante per lo sviluppo e il benessere e per gettare le basi per l’apprendimento e le future competenze: «Un’ECEC di alta qualità può essere un potente mezzo per garantire equità e inclusione nella società e uno strumento efficace per aumentare le competenze socio-emotive dei bambini e la preparazione scolastica»[5]. Rilevante è anche la possibilità che l’ECEC offre in termini conciliazione tra vita privata e vita lavorativa, permettendo ai genitori di tornare la lavoro.

Nello studio dell’OCSE 2023, uno degli indicatori è esclusivamente dedicato all’ECEC. I dati evidenziano che nei paesi OCSE oltre l’80% dei bambini di età compresa tra 3 e 5 anni è iscritto a qualche forma di ECEC. Al 2021, in media, il 18% dei bambini sotto i 2 anni e il 43% dei bambini di 2 anni sono stati iscritti ai percorsi ISCED 0. Nonostante gli sforzi, nel nostro Paese si registra un tasso di bambini di 3 anni iscritti a scuola più basso rispetto ad altri paesi, che raggiungono una percentuale del 100%.

Un dato significativo riguarda la spesa per bambino in tutti i Paesi dell’area OCSE: tra il 2015 e il 2020 è aumentata, in media, del 3% annuo.

Un altro elemento che accomuna i Paesi OCSE è la prevalente presenza femminile nel campo dell’educazione e cura della prima infanzia: secondo i dati disponibili, il 96% degli insegnanti del livello preprimario sono donne[6].

Il nodo critico del “mestiere più bello del mondo”

Nel Rapporto OCSE 2023 un ampio spazio è, ovviamente, dedicato agli insegnanti. Ma i dati mostrano una realtà di crisi della professione di docente in tutti i Paesi OCSE. Lo ha sottolineato anche il Ministro Valditara nel suo intervento, evidenziando la necessità di ridare credibilità, autorevolezza e prestigio sociale a quello che ritiene essere ancora oggi il mestiere più bello del mondo. Certamente, l’aspetto economico resta determinante. I numeri rivelano che in media gli stipendi effettivi dei docenti della scuola secondaria inferiore sono del 9% più bassi rispetto a quelli dei lavoratori con un livello di istruzione terziaria, ma il divario, in alcuni Paesi, supera anche il 30%. In quasi tutti i Paesi OCSE (tranne sei), dal 2015, gli stipendi tabellari dei docenti della scuola secondaria inferiore sono aumentati di meno dell’1% all’anno in termini reali. In Italia risulta che sono addirittura diminuiti del 4%. Un docente italiano delle scuole superiori con un’anzianità di 15 anni guadagna all’anno circa 44 mila dollari (pari a 32.000 euro), a fronte di una media OCSE di 53 mila dollari. Dallo studio si evince che, in generale, un laureato orientato ad insegnare guadagna in media il 30 per cento in meno di chi sceglie un’altra professione. Gli esperti dell’OCSE parlano di una vera fuga dalla scuola, a cui si sta assistendo sempre più da diversi anni.

La leva economica sembra essere determinante, ma è solo uno degli elementi di una grande sfida da affrontare con determinazione e che riguarda tutti i Paesi dell’OCSE: bisogna impegnarsi a tutti i livelli, in primis quello politico, per rendere attraente la professione docente.


[1] Cfr. Education at a Glance. Rapporto OCSE 2023 in Scuola7-350.

[2] Cfr. op. cit., pp. 9-10.

[3] Cfr. D.M. 22 dicembre 2022, n. 328.

[4] Cfr. Decreto-legge 15 settembre 2023, Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale.

[5] OECD (2023), Education at a Glance 2023: OECD Indicators, op. cit. p. 24.

[6] Op. cit., pp. 166 e sg.