L’educazione a prova di… smartphone

La tecnologia aiuta a crescere?

Qual è il ruolo della tecnologia a scuola? Qual è l’importanza dei dispositivi elettronici per i nuovi manuali scolastici? Non esiste una risposta certa e definitiva a tali interrogativi, perché l’istruzione è oggi in continua trasformazione. Una prima preoccupazione, però, è quella che ci viene suggerita dalla diffusione della cosiddetta nomofobia, cioè il timore ossessivo di non poter disporre del cellulare.

La tecnologia è la più grande risorsa di cui oggi possiamo disporre, tuttavia talvolta potrebbe rappresentare un disagio se non un vero e proprio problema a livello psicologico e pedagogico. Ci sono molti studi in materia, interessanti sono alcuni approfondimenti sul tema degli scrittori Jonathan Safran Foer e Paola Mastrocola.

Cellulari in classe

La scuola è stata sempre al centro di profondi cambiamenti. Lo sanno bene coloro che la vivono quotidianamente. Oggi i cambiamenti sono molto più rapidi e incisivi, tali da lasciare segni in tempi brevissimi e non di decennio in decennio, come avveniva in passato. Qualche volta tali segnali destano reazioni anche scomposte ed opinioni a volte superficiali da parte di persone che non conoscono direttamente il mondo della scuola.

Da tempo lo smartphone sta incidendo profondamente sulla didattica e sta ponendo molti interrogativi agli stessi docenti. Il rapporto della scuola con il digitale costituisce oramai un fenomeno sottoposto al giudizio di tutti e l’uso dello smarphone in classe è diventato un argomento su cui tutti si sentono in dovere di esprimere la propria opinione.

“Nuovi” libri di testo

Un tempo i manuali di qualsiasi disciplina si presentavano con una lunga esposizione di parole per esprimere concetti, e solo con qualche immagine per rompere la monotonia del testo scritto. Prendiamo invece un manuale scolastico di ultima generazione: è diventato un vero e proprio “ipertesto” in formato cartaceo, dove la scrittura occupa una parte limitatissima della pagina perché il resto è riempito da immagini, disegni, fumetti, link di richiamo. I crittogrammi attraverso il Qr Code permettono di acquisire moltissime altre informazioni, non contenibili in un libro di testo tradizionale.

È un nuovo sistema per rendere la didattica più attiva. Anche senza l’uso immediato e diretto di un device, è possibile fruire di dati, notizie, spiegazioni, chiarimenti provenienti da fonti diverse che diventano a portata di mano. Per farlo occorre però imparare a padroneggiare modalità differenti di accesso alle informazioni, non solo quella tradizionale di codifica del linguaggio scritto.

Tale approccio va incontro allo studente perché rende più attrattiva la conoscenza che nella scuola di sempre è veicolata, in genere, solo dalla parola del docente o dalla lettura di brani scritti. I nuovi testi favoriscono una didattica più movimentata, non solo rispetto alla lettura di una pagina di libro tradizionale, ma anche rispetto alla lettura di una pagina web attraverso lo scorrimento sullo smartphone.

Vulnerabilità cognitiva

La tecnologia sta influendo fortemente sulla psicologia dello studente i cui effetti non sempre sono di facile comprensione.

I nuovi manuali scolastici da un lato devono conformarsi a un nuovo stile di apprendimento degli studenti che ha, però, come cifra distintiva, anche l’incapacità di concentrazione; dall’altro, devono rispondere alle esigenze degli insegnanti che hanno bisogno di conoscere nuove strategie per rispondere positivamente alle esigenze delle nuove generazioni.

C’è di fatto una vulnerabilità cognitiva degli studenti di oggi che è stata messa recentemente in evidenza anche da Jonathan Safran Foer in una sua intervista a “Sette” del Corriere della Sera (6 ottobre 2023). Nella stessa intervista lo scrittore ha posto anche l’attenzione sui rischi delle tecnologie: “il problema della tecnologia oggi è che dovrebbe fornirci servizi e invece sono più le cose che prende da noi rispetto a quelle che ci dà: ci impoverisce, ci rende versioni ridotte di noi, meno creativi, meno premurosi, meno empatici”. Questo non significa, però, contrapporre analogici e digitali, Boomers e Alpha Generation.

Cosa fare del lungo tempo passato in classe?

Ogni generazione è figlia del proprio secolo, pertanto anche la scuola deve imparare a convivere in modo proficuo con la tecnologia. L’unico orizzonte valido è quello di sapere valorizzare il tempo, in modo particolare il tempo che si trascorre a scuola e, soprattutto, non disperdere le risorse dei giovani.

Sul tempo, la scuola può avere ancora un controllo importante: un bravo insegnante deve saper appassionare lo studente attraverso lezioni coinvolgenti e con una didattica attrattiva. Ciò implica, però, che il docente sappia padroneggiare molto bene le nuove tecnologie.

Anche se teoricamente tutti sono di questo avviso, sul piano pratico capita ancora molto spesso che la didattica innovativa sia lasciata all’estemporaneità o alla creatività del singolo insegnante. Ricorda ancora Safran Foer: “i giovani si prendono davvero sul serio perché essi si sentono la star del film della loro vita”. È dunque urgente che si affronti in maniera sistematica la questione della professionalità docente. Non bastano le buone intenzioni di qualche bravo educatore, occorre che si diffondano in tutte le scuole modalità diverse di fare scuola.

Nomofobia

La dipendenza dall’uso del cellulare è un fenomeno oramai dilagante che il sistema scolastico non può permettersi di trascurare. Non basta accontentarsi di palliativi, non serve che i ragazzi alzino per un po’ gli occhi dagli schermi. Il fenomeno è molto profondo e nasconde un malessere che la scuola, a fatica, riesce ad arginare. Dopo Millennians, chiamati anche “sdraiati” o “bamboccioni”, la generazione Z appare più ambiziosa, ma anche più fragile e più affaticata. La crescita dell’ansia sta diventando l’elemento peculiare che sta caratterizzando la vita di tanti studenti.

È collegata a tale situazione la cosiddetta “nomofobia”. Un termine che viene impiegato per descrivere una condizione psicologica che può svilupparsi nei soggetti che manifestano irrazionale timore o paura di rimanere ‘sconnessi’ o di non poter disporre di un telefono cellulare, perché non lo si ha con sé o perché si è in una zona priva di campo[1].

Il tempo dei giovani, la valorizzazione delle loro risorse insieme alla nomofobia sono le questioni su cui la scuola è chiamata a rispondere in maniera efficace. Occorre capire bene cosa accade nella mente dei nostri ragazzi per aiutarli a superare i disagi e per garantire un loro tempo scolastico (ma anche un loro tempo di vita) senza le tante ansie che vengono espresse sinteticamente nella paura della disconnessione. La presenza della figura docente è irrinunciabile perché deve assicurare serenità e benessere formativo, senza però abbassare il livello di aspettative dei risultati di apprendimento.

Scuola senza voti. Perché no?

Per esempio, perché non prendere in considerazione la proposta di una scuola senza voti, sperimentata da diversi istituti a livello nazionale? Potrebbe essere un modo per attutire i disagi degli studenti. Sarebbe sicuramente un’ottica diversa dalla visione più tradizionale di chi sostiene che i voti costituiscono un sistema irrinunciabile per qualsiasi percorso formativo.

La scrittrice Paola Mastrocola, a sostegno di questa tesi (“Ma in classe i voti sono importanti”, su La Stampa, 8 ottobre 2023), ha utilizzato la metafora del cronometro per un mezzofondista; come il voto il cronometro rappresenta lo strumento cruciale per valutare il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Va detto però che il mezzofondista non corre per il cronometro e lo studente non studia (o non dovrebbe studiare) per il voto.

Questa metafora, a parere di chi scrive, riporta alla memoria gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, quando il cronometro era utilizzato per misurare il lavoro degli operai e delle operaie impegnate nei grandi stabilimenti industriali. L’obbligo di rispettare i tempi di produzione spingeva uomini e donne verso una forma di alienazione umana che non trovava scampo di fronte a quell’allucinante fatica. Lo ricordava in modo magistrale un grande scrittore di quegli anni, di nome Ottiero Ottieri, uno dei più perspicaci intellettuali in grado di analizzare nei suoi romanzi l’inquietudine nascosta tra le pieghe del grande progresso industriale dell’Italia del boom economico.

In sintesi, quello che dovrebbe contare non è il dibattito su “voto sì” o “voto no”, quanto la finalità della valutazione che deve sostenere l’apprendimento in ottica formativa e non solo giudicarlo.


[1] Nomophobia, da No-Mobile Phone pho BIA. Il termine è stato coniato per la prima volta in Inghilterra nel 2008, durante uno studio commissionato dal governo britannico volto ad investigare la correlazione tra lo sviluppo di disturbi dello spettro ansioso e l’iper-utilizzo di mobile phones.