Dagli episodi di violenza ad una scuola di comunità

Una proposta di legge a difesa dei docenti

Negli ultimi tempi gli atti di violenza nei confronti del personale scolastico sono diventati quasi una consuetudine. Il riferimento va a quelle rimostranze, mosse da alcune famiglie di studenti bocciati o segnalati per inadempienze e scarso profitto, che si concretizzano in episodi aggressivi o nel ricorso al TAR per tentare di cambiare un verdetto scolastico ritenuto iniquo.

È vero: ai genitori è consentito di adire le vie legali per sanare quella che viene percepita e, spesso, vissuta come un’ingiustizia, ma non esiste alcuna attenuante per chi si rende colpevole di azioni di violenza fisica e morale nei confronti di operatori della scuola.

L’insegnante come pubblico ufficiale

Molto spesso le tensioni tra scuola e famiglia lasciano trasparire un atteggiamento di totale sfiducia e di crisi profonda tra società e istituzioni. Le tensioni, che non vanno ignorate, dovrebbero, comunque, essere affrontate e risolte all’interno della comunità scolastica, senza mai sconfinare in comportamenti offensivi né, tanto meno, in aggressioni fisiche, come sovente leggiamo nelle pagine della cronaca.

Va ricordato, tra l’altro, che gli insegnanti sono pubblici ufficiali. Lo stabilisce l’art. 357 del Codice Penale e lo ribadisce la Corte di Cassazione che estende il riconoscimento al docente di pubblico ufficiale, non solo mentre il docente esercita l’attività didattica, ma anche durante lo svolgimento delle azioni funzionali all’insegnamento.

Ministri e Sottosegretari sono intervenuti più volte su questo tema per ribadire l’importanza della funzione docente e per ricordare che la violenza contro un docente si configura come violenza contro lo Stato.

Una proposta di legge

Negli ultimi tempi, i comportamenti che denotano rifiuto delle regole e assenza di rispetto delle persone e dei loro ruoli vanno letti all’interno di una difficoltà più vasta a realizzare i valori della sostenibilità sociale delle nostre democrazie. L’allontanamento dal senso civico contribuisce a creare l’escalation verso tante forme di aggressione e verso episodi di violenza fisica, soprattutto di chi ha il compito di educare alla pratica oltre che alla conoscenza dei valori e dei principi costituzionali.

È per questo che la Camera ha approvato recentemente una proposta di legge, di cui il deputato Sasso è stato il primo firmatario, che rende più severe le pene per quei genitori – e per gli alunni dai 14 anni in su – che aggrediscono un insegnante a scuola.

La pena massima, che attualmente è di 5 anni in caso di attacco fisico e di 3 anni in caso di offese verbali, aumenterebbe fino a 7 anni e mezzo di carcere per un’aggressione e a 4 anni e mezzo per oltraggio, se rivolti al personale scolastico (insegnanti, presidi e personale ATA).

L’inasprimento delle pene, secondo gli estensori della proposta di legge, è quello di ripristinare una cultura del rispetto, della responsabilità civile e democratica, di garantire conseguentemente un ambiente scolastico più favorevole all’apprendimento e alla crescita personale, nel quale i docenti possano svolgere il proprio lavoro senza timore di subire aggressioni.

Dagli atti di fiducia alle rivalse genitoriali

A fronte di questa allarmante spirale di violenze, vale forse la pena ricordare che in passato tra scuola e famiglia correva una sorta di tacito accordo per cui la famiglia delegava alla scuola l’aspetto didattico ed educativo della vita dei propri figli implicando con ciò un atto di fiducia nella figura professionale dell’insegnante. Oggi i genitori sono diversi e chiedono, molto spesso, alle scuole di conformarsi sulle loro scelte familiari, spesso molto indulgenti nei confronti dei figli. Se ciò non accade, il rapporto con i docenti diventa difficile perché vengono, in alcuni casi, percepiti come nemici.

Molti genitori vogliono per i loro figli una scuola facile. Spesso, è questo l’unico modo che intravedono che può aiutarli a superare le loro fragilità e le loro ansie. A volte si lamentano dei troppi compiti? Molti vorrebbero una scuola senza voti. Molti genitori diventando i sindacalisti dei propri figli, assecondano le loro richieste, contestano il brutto voto, la sospensione o la bocciatura, a volte con insulti e aggressioni, umiliazioni nei confronti di quei docenti ritenuti responsabili dei provvedimenti percepiti come pura ingiustizia. Diversi sono i casi di ricorso ai tribunali amministrativi.

Riflettere sui rapporti scuola-famiglia

I genitori che usano atteggiamenti e comportamenti aggressivi per difendere i loro figli sono gli stessi che ignorano i tanti segnali che i docenti lanciano durante l’anno scolastico in occasione dei rapporti scuola-famiglia. I genitori che si presentano ai colloqui istituzionali con i docenti, vengono costantemente informati del rendimento scolastico e degli eventuali mancati profitti dei loro figli affinché non giungano impreparati e sorpresi a fronte di certi esiti finali. Ma purtroppo sono molti i genitoriche disattendono a tali impegni e altrettanti sono quelli che si limitano ad una collaborazione puramente rappresentativa.

Non basta sottoscrivere formalmente un Patto educativo di corresponsabilità per garantire il rispetto degli impegni e delle responsabilità comuni, a partire dalla condivisione delle finalità che stanno alla base dei percorsi di crescita dei ragazzi.

Anche l’introduzione del Registro Elettronico, se da una parte ha consentito un notevole snellimento di alcune pratiche burocratiche e l’immediata visualizzazione (e controllo) dell’andamento scolastico degli alunni, dall’altra ha favorito l’ulteriore diradarsi del dialogo educativo scuola-famiglia, limitandolo ai casi più gravi e problematici.

Andare oltre le ritualità

Certo è che il rapporto con le famiglie dovrebbe andare al di là dei canonici colloqui istituzionali. Per accrescere la partecipazione e costruire insieme un clima proficuamente collaborativo occorrerebbe prevedere, oltre ai rituali colloqui scuola-famiglia, anche momenti di incontro più stimolanti che assumano, per esempio, la fisionomia di confronti e dibattiti pedagogici. Si potrebbero istituire tavoli territoriali che, con il coinvolgimento di rappresentanze istituzionali, genitoriali e di esperti del settore, propongano temi ed elaborino progetti tesi non solo a migliorare l’offerta formativa, ma anche a riflettere sulle dinamiche relazionali che sono a fondamento della vita comunitaria.

Coinvolgere gli studenti in un progetto di comunità

Potrebbe essere una strategia vincente quella di far capire agli studenti che le figure genitoriali e i docenti sono in sintonia e allineati, che insieme si prendono cura della scuola e che insieme lavorano per un bene comune. Coinvolgere gli studenti nel processo significa metterli nelle condizioni di esplicitare le loro difficoltà e i loro bisogni, renderli, quindi, protagonisti e responsabili.

Senza questa fattiva e armoniosa convivenza, il progetto educativo perde di vigore compromettendo sia la scolarizzazione dei ragazzi sia il loro benessere in generale. La complementarietà tra il mondo confidenziale della famiglia e il mondo istituzionale della scuola, tra la presenza attiva dei genitori e la professionale operatività dei docenti è la prima condizione per realizzare un ambiente di apprendimento positivo e armonico, per produrre riflessi sui risultati scolastici degli alunni e sulla loro attitudine verso la scuola, ma anche sui docenti e sui genitori: i primi, stimolati dall’interattività dei rapporti, sarebbero motivati a migliorare la qualità del loro insegnamento; i secondi, messi nelle condizioni di comprendere meglio le dinamiche scolastiche, riuscirebbero a sicuramente migliorare il loro rapporto con i figli.

Fiducia e stima… la persona al centro

Da qui, la necessità di ripensare alla relazione tra i due principali sistemi e recuperare l’originaria collaborazione tra scuola e famiglia, fondata su atteggiamenti di fiducia, stima, riconoscimento dei propri e degli altrui diritti e doveri. È un modo per restituire slancio e vitalità ai due partner educativi, a fronte di sempre più evidenti e preoccupanti espressioni di delusione, disaffezione e conflittualità.

Per un nuovo e più solido rapporto comunicativo, che preveda ampi spazi di ascolto, di dialogo e di riflessione aperta, non basta, però esaltare la cultura della partecipazione attiva e la responsabilità condivisa, neanche puntare sulla cultura organizzativa che permette la messa a punto di strategie efficaci.

Per recuperare un proficuo dialogo educativo tra insegnanti e genitori bisogna partire dalla “persona” nella sua interezza, bisogna far percepire al ragazzo che genitori e docenti nutrono un autentico interessamento per la sua persona, per il suo benessere e per il suo percorso umano.