Autonomia e rilettura della funzione dirigenziale

Facciamo il punto per una buona ripartenza

Non si è ancora spenta l’eco degli auguri, rituale al quale, con maggiore o minore disincanto, tutti partecipiamo, per il piacere di farli e di riceverli. Nel breve volgere di pochi anni, dai bigliettini vergati a mano d’un tratto ci siamo affidati prima alla posta elettronica e poi, in modo sempre più standardizzato, agli SMS o ai WhatsApp. Muovendo i primi passi nel nuovo anno con gli occhi rivolti a scorgere, nel tempo che viene, come il profluvio degli auspici beneauguranti potrà tradursi in tangibili segni di cambiamento, viene spontaneo chiedersi, anche al fine di ravvivare il dibattito pubblico nella scuola: “dov’eravamo rimasti”?

Un passo indietro

Per rispondere, come in ogni racconto che si rispetti, occorre fare un passo indietro, nella circostanza tornando alla legge del 13 luglio 2015, n. 107, comma 180, laddove si spiega che “Il Governo è delegato ad adottare, entro diciotto mesi (…) uno o più decreti legislativi (…)”, il primo dei quali era il seguente: “la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di istruzione già contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, nonché nelle altre forti normative”.

Avrebbe dovuto essere il primo, e invece, nell’ampia provvista dei decreti legislativi attuativi promulgati due anni più tardi, il 13 aprile 2017 (ben 8, dal n. 59 al n. 66), è risultato l’unico “non pervenuto”. Nel frattempo son trascorsi altri 9 anni.

Sempre a ritroso, dopo il primo, un secondo passo indietro. Il testo unico, contenuto nel D.lgs. 16 aprile 1994 n. 297, era figlio, per dir così, della legge delega 30 luglio 1973, n. 477, e dei successivi “decreti delegati”, in particolare del DPR 31 maggio 1974 n. 416 sugli organi collegiali.

Oltre mezzo secolo fa: prossimità verso il cittadino

È passato mezzo secolo ma non è vero che la scuola è rimasta ferma: al contrario, è stata attraversata da un cambiamento profondo, al centro dell’innovazione amministrativa più di quanto comunemente si creda, in una significativa analogia con quanto è accaduto all’evoluzione degli Enti locali.

Non sono state necessarie defatiganti quanto ambiziose revisioni costituzionali: è bastato l’art. 5 della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

Si avverte, in queste righe, una non negativa ambivalenza tra decentramento e autogoverno, che si è espressa in forme più o meno compiute, nell’affermazione, da un lato, delle autonomie locali, dall’altro delle autonomie scolastiche. Entrambe condividendo un comune valore, etico e sociale, quello della prossimità, reciproca e verso il cittadino.

Osservo, en passant, che forse non è del tutto casuale che le autonomie scolastiche e le autonomie locali siano dotate di un presidio tecnico-amministrativo, affidato, nella scuola, al DSGA, negli enti locali, al Segretario comunale o provinciale, in stretto raccordo funzionale con il rappresentante legale dell’istituzione.

Autonomie locali e autonomie scolastiche

Per il rafforzamento delle autonomie locali ha avuto un ruolo determinante la legge 25 marzo 1993, n. 81, sull’elezione diretta del sindaco nei Comuni e del presidente nelle Province (disattesa, in quest’ultimo caso, dalla legge 7 aprile 2014, n. 56).

Per l’affermazione delle autonomie scolastiche è stata essenziale la legge 15 marzo 1997, n. 59, detta “legge Bassanini”. Lì, in effetti, ha inizio una storia che conduce sino ai giorni nostri.

Come l’autonomia locale si è retta su rinnovate responsabilità affidate al governo del territorio, così l’autonomia scolastica è andata configurandosi nel passaggio dalla figura del preside a quella del dirigente scolastico. Il punto di svolta si è posto nella relazione tra la legge 59/1997 e il D.lgs. del 6 marzo 1998, anch’esso contrassegnato dal n. 59, con la disciplina della qualifica dirigenziale nelle istituzioni scolastiche autonome, a norma dell’articolo 21, comma 16, della stessa legge 59/1997.

Come si può osservare, autonomia e responsabilità, nell’un caso come nell’altro, sono strettamente correlate: simul stabunt vel simul cadent.

Righe tuttora attuali

Ma per la verità vi è un’altra fonte legislativa che legittima questa prospettiva. All’autonomia affermata dalla legge 59/1997 si aggiungono quelli che potremmo dire gli “effetti a distanza” della contrattualizzazione del rapporto di lavoro[1]. Ed è proprio nel D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 25, commi 2 e 3, che troviamo l’espressione della responsabilità assegnata al dirigente scolastico nella scuola dell’autonomia.

Il dirigente scolastico: assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica; ne ha la legale rappresentanza; è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio; ha autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici; organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formativa; è titolare delle relazioni sindacali; promuove interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio; predispone le condizioni per il pieno esercizio della libertà di insegnamento intesa anche come ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l’esercizio della libertà di scelta educativa della famiglie, per l’attuazione del diritto all’apprendimento degli alunni.

È da sottolineare questa non casuale sfumatura: quando ci si riferisce alle risorse finanziarie e strumentali, si parla di “gestione”; quando ci si riferisce alle risorse umane, si parla di “direzione, coordinamento e valorizzazione”.

Autonomia come responsabilità

La prospettiva autonomistica, impostata sulle responsabilità, non solo gestionali, del dirigente scolastico, attraversa, com’è noto, alcuni altri passaggi normativi: dal Regolamento dell’autonomia, il DPR 8 marzo 1999, n. 275, al Decreto Interministeriale 1° febbraio 2001, n. 44, che definisce le procedure per il Programma annuale, poi aggiornato dal Decreto Interministeriale 28 agosto 2018 n. 129.

Ricapitolando: da un lato c’è l’autonomia con la legge 59/1997; dall’altro dobbiamo far riferimento alla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che rimanda al Codice Civile, Libro V, Titolo II, Capo I[2].

Equivoco “managerialistico” e necessità di un nuovo testo unico

È vero che, negli ultimi anni, è andato affermandosi un modello cosiddetto “managerialistico”[3]. Ma per la verità, si tratta di un equivoco e, al contempo, di una semplificazione. La scuola non è certamente più solo pubblico impiego, né il ruolo del dirigente scolastico è meramente gestionale. La scuola non si occupa di prodottistandardizzati e seriali, ma di persone in formazione. La scuola, anche quella contrattualizzata, si occupa del fattore umano, nella varietà dei suoi accenti e nella sua dimensione più ricca di significati, quella dei bisogni educativi.

Precisato questo, a fronte dello spessore temporale e “vissuto” della scuola dell’autonomia, con tutto ciò che ha comportato nel ridisegno dei compiti e delle responsabilità, un riesame e un aggiornamento del testo unico sono ormai da ascrivere tra le urgenze, non da rinviare ancora sine die, ma da assumere con ponderazione e convinzione.

Occorre una rilettura coerente della funzione dirigenziale

Dunque, sino al D.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, art. 4, comma 2, poi artt. 5, 7, 17 e, soprattutto, art. 25, al dirigente scolastico venivano assegnati compiti di carattere prevalentemente “gestionale”.  La Legge n. 107 del 13 luglio 2015, art. 1, comma 93, nell’incipit della lettera e), ha chiarito, invece, che il dirigente scolastico ha una responsabilità nella direzione, meglio ancora, nella direzione unitaria, al fine di ricomporre i rapporti “tra le diverse componenti della comunità scolastica” insieme a quelli “con il contesto sociale”.

Direzione unitaria è espressione sicuramente meno alla moda rispetto ai tanti anglicismi: ma esprime decisamente meglio il nodo della responsabilità che compete a chi ha il compito di condurre la scuola dell’autonomia.

D’altra parte, l’Atto di indirizzo è stato affidato al dirigente scolastico, non più al Consiglio di Istituto (comma 14, punto 4 della legge 107/2015). L’Atto di indirizzo non deve limitarsi a testimoniare ciò che “piace” al dirigente scolastico pro tempore. Altresì deve servire a rafforzare i lineamenti del progetto educativo in prospettiva dei suoi possibili sviluppi. Nessuna altra figura, in ottemperanza alla direzione unitaria, come il dirigente scolastico, può cercare di sovraintendere al rispetto di una programmazione ordinata, così come previsto dal quadro normativo, fatte salve le possibili proroghe:

  • entro il 31 di ottobre il PTOF, nella sua programmazione triennale, o negli aggiornamenti annuali (tale termine è ordinatorio, potendo le scuole completare tali attività entro l’avvio della fase delle iscrizioni al successivo anno scolastico);
  • entro il 30 novembre la conclusione della contrattazione decentrata di Istituto, come prevede l’art. 22 comma 7 del CCNL del 19 aprile 2018, ribadito nell’Ipotesi di CCNL del Comparto Istruzione e ricerca 2019-2021, sottoscritto il 14 luglio 2023;
  • entro il 31 dicembre, l’approvazione del Programma Annuale.

Questa sequenza temporale configura una connessione tra offerta formativa, ampliamento dell’offerta formativa, contrattazione decentrata di Istituto per l’appropriato utilizzo del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (FMOF).

La programmazione coordinata è forse la sfida più impegnativa per una direzione davvero unitaria dell’istituzione scolastica e comporta il pieno rispetto delle competenze degli organi collegiali, Collegio dei docenti e Consiglio di Istituto, nonché delle relazioni sindacali. Anche se l’onere della prova spetta a tutti i coartefici, pur nella chiara distinzione dei punti di vista, e non ad uno soltanto.

Rivitalizzare gli organi collegiali

È evidente che si deve impostare una nuova missione per gli organi collegiali della scuola, che eviti il rischio di un depauperamento del valore della partecipazione. Anzi le istanze della partecipazione, dopo mezzo secolo, hanno, oggi più che mai, uno straordinario bisogno di essere rivitalizzate, rinvigorite e rilanciate, attribuendo un ruolo rinnovato alla luce delle ultime evoluzioni normative. Per esempio:

  • la legge 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi;
  • il Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni,
  • il D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 (c.d. Freedom of Information Act o FOIA) con l’“accesso civico generalizzato”[4].

Sarebbe tutt’altro che irragionevole pensare ad un rinnovato raccordo tra autonomie scolastiche e autonomie locali, sotto il segno della collaborazione e del “buon andamento”, anche in un organo collegiale come il Consiglio di Istituto.

Partecipazione, non gestione

Nello stesso tempo, occorre dare riconoscimento alle figure di sistema cresciute, nella concretezza del fare scuola, nel corso degli ultimi decenni.

L’ampliamento dell’offerta formativa rappresenta un indubbio arricchimento, purché non si trasformi in un progettificio non sempre a beneficio dei valori della collegialità e dell’accrescimento del diritto apprendimento.

Come si comprende, non c’è bisogno di innovazioni senza radici, di invenzioni estemporanee, o di assecondare mode passeggere ed effimere. Piuttosto, occorre una riflessione seria che punti a valorizzare le buone pratiche in atto, qui e ora, vale a dire quanto di utile si sta realmente facendo, lasciando da parte il déjà vu ma puntando sulla sostanza, sulla qualità, sulle competenze.

Un esempio e una necessità

Da questo punto di vista, è importante la prospettiva del Middle Management, della meta-dirigenza, della dirigenza diffusa. Per esempio, l’USR per l’Emilia-Romagna, insieme a UNIBO-DISA Dipartimento Scienze Aziendali, dallo scorso anno scolastico ha promosso un’esperienza formativa dal titolo Management Innovation and Educational Leadership Evaluation-M.I.E.L.E., che ha coinvolto oltre 200 Dirigenti scolastici della regione e che ha posto, in particolare, l’accento sul valore della cultura organizzativa del Middle Management[5].

Insomma, ci sono le condizioni perché la scuola dell’autonomia, correttamente intesa, possa fare un passo in avanti. Ma abbiamo bisogno di strumenti efficaci per consolidare l’esercizio responsabile delle relazioni e per impostare coerentemente la missione educativa. Un nuovo testo unico, a cinquant’anni dalla sua prima formulazione, potrebbe rappresentare una serena presa d’atto del volto nuovo che la scuola ha oggi assunto.


[1] Legge 421 del 23 ottobre 1992, da cui il D.lgs. 29, ma anche il D.lgs. 35 sul personale della scuola, anno 1993, sino al D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

[2] Legge 421 del 23 ottobre 1992, da cui il D.lgs. 29, ma anche il D.lgs. 35 sul personale della scuola, anno 1993, sino al D.lgs. 165/2001.

[3] Secondo Peter Drucker (1909-2005): “Management is doing things right; leadership is doing the right things”. Ovvero: “Il management consiste nel far bene qualcosa; la leadership nel fare la cosa giusta”.

[4] Rinvio, a questo proposito, all’articolo di Melania Reina, Pubblica Amministrazione: come una “casa di vetro”. La trasparenza nell’azione amministrativa delle scuole, su “Scuola7”, n. 364, 1° gennaio 2024.

[5] Cfr. la Nota USR per l’Emilia-Romagna, prot. n. 19565 del 26 luglio 2023. Il Corso prosegue anche nel corrente anno scolstico Cfr. https://www.istruzioneer.gov.it/2023/12/19/corso-di-formazione-dirigenti-scolastici-m-i-e-l-e-iscrizioni-a-s-2023-24/.