Le lodi alla maturità nel Meridione: non è questione di “manica larga”

Una esigenza di affidabilità

L’interesse che quest’anno ha riscosso la questione, nota da tempo, della grande differenza tra il numero delle lodi alla maturità nel Meridione d’Italia e il numero più contenuto nel Nord, segnala un atteggiamento nuovo e positivo da parte dell’opinione pubblica, che vuole evidentemente affrontare questo tema e non accettarlo come un dato di realtà scarsamente modificabile. Va subito detto che abbiamo a che fare con aspetti culturali che senza specifici interventi, cambiano più lentamente di quanto l’interesse mostrato vorrebbe.

Ciò premesso bisogna riconoscere che si vogliono prendere sul serio i risultati degli esami di maturità e che si vorrebbe correggere questa peculiare distorsione del nostro sistema scolastico.

Le scuole del Nord infatti, in tutte le rilevazioni comparative, nazionali (INVALSI) e internazionali (PISA, TIMMS …) risultano – quanto agli esiti – in posizione più elevate di quelle meridionali e il dato della maturità stride con questi risultati. In questi giorni sono state più volte richiamate le prove INVALSI per la maturità come una soluzione per avere una misura unica comparativa rispetto alle competenze che quelle prove potrebbero misurare.

La credibilità del lavoro dell’Istituto e l’attendibilità delle prove che implicitamente sono così state affermate è motivo di soddisfazione, ma è opportuno riflettere ancora un po’ sulle ragioni che producono quelle differenze di votazioni, distinguendo la questione delle lodi alla maturità, da quelle degli esiti in tutte le altre prove INVALSI. Nell’attribuzione delle lodi al meridione infatti giocano un ruolo diverse variabili.

Voti d’esame e prove di apprendimento

C’è in primo luogo un contesto sociale ed economico di provenienza degli studenti che svantaggia molti di loro, per cui le differenze tra “i bravi” e quelli in maggiore difficoltà sono più ampie e di conseguenza “la bravura” è più facilmente premiata con la lode. C’è poi, paradossalmente, un maggior credito che nel Meridione si attribuisce al titolo di studio e quindi anche ad una maggiore pressione delle famiglie perché si premino i propri figli “bravi”. Dobbiamo anche aggiungere che, effettivamente, ci sono situazioni di eccellenza (è utile ricordare che due anni fa, uno degli insegnanti premiato come il migliore in Italia era di una scuola di Lecce) che è giusto richiamare perché, purtroppo, l’inflazione di lodi rende poco credibili anche quelle effettivamente meritate da parte dei migliori studenti meridionali. Sarebbe interesse, in tal senso, anche delle scuole meridionali, dove si registrano simili eccellenze, una maggiore severità nell’attribuzione delle lodi da parte dei docenti delle altre scuole.

Per quanto riguarda, invece, i risultati alle prove INVALSI, va detto che c’è l’indubbia difficoltà dei docenti a cambiare la didattica, che è implicita nel far in modo che gli studenti sappiano rispondere alle prove. Non si tratta di addestrarli (il famoso teaching to the test), ma di insegnare loro ad usare le conoscenze/abilità apprese (è questo in fin dei conti il significato del termine competenza) elaborandole per fronteggiare adeguatamente le prove stesse.

La resistenza a cambiare trova spesso ragioni superficiali e/o di tipo ideologico: “insegnare non vuol dire saper fare le prove INVALSI”, “a scuola si impara ben altro” e via dicendo. Il fatto è che comprendere un testo scritto, conoscere i significati delle parole, saper calcolare aspetti che hanno a che fare con la vita quotidiana, rappresentano competenze necessarie per vivere nella società attuale e sono quindi vere e proprie competenze di cittadinanza: non riuscire a far acquisire questo tipo di competenze proprio a coloro che, per condizioni familiari e contesto socio-economico di provenienza, non hanno altre opportunità oltre la scuola, vuol dire venir meno ad un compito fondamentale dei docenti attuali.

La ricerca sul “valore aggiunto”

Quest’anno inoltre, l’INVALSI restituirà alle scuole, accanto ai risultati delle prove, anche il calcolo del Valore Aggiunto. Con questa locuzione si intende il contributo che la singola scuola fornisce effettivamente all’apprendimento degli studenti misurato dalle prove INVALSI, dopo che si è scorporato l’effetto del contesto di provenienza, della condizione familiare e degli esiti della precedente scolarità. Si tratta di una metodologia messa a punto dai colleghi INVALSI, dopo un lavoro avviato in anni precedenti la mia stessa presidenza, e che ora ha dato i suoi frutti; il 27 settembre, peraltro, le metodologie usate saranno discusse in un apposito seminario con i massimi esperti di questo settore di studio.

È fondamentale infatti, che su queste metodologie di calcolo del Valore Aggiunto ci sia il massimo accordo, perché si tratta di uno strumento importante, ma che può essere anche molto intrusivo, poiché mette in luce proprio l’efficacia della singola scuola rispetto agli esiti raggiunti dagli studenti nelle prove INVALSI.

Per quel che sappiamo sinora, dall’analisi dei risultati del campione presentati anche quest’anno nel periodico incontro di luglio, c’è una scuola di Catania che è all’ottocentesimo posto in graduatoria per gli esiti degli studenti (su un campione di 1400 scuole) che invece è salita al primo posto nel calcolo del Valore Aggiunto. Si riconosce in tal modo il rilevante contributo che i docenti di quella scuola hanno fornito al progresso nell’apprendimento dei loro studenti.

Il riconoscimento dell’impegno di quella scuola, per cui ha scalato così tante posizioni nella graduatoria, non ci deve far dimenticare, tuttavia, che quegli studenti non riescono a stare nella vetta della graduatoria per gli esiti alle prove. Ciò vuol dire, in altre parole, che la scuola da sola in quel contesto non riesce a fronteggiare con successo tutte le difficoltà che presentano gli studenti dal punto di vista dell’apprendimento. Il calcolo del Valore Aggiunto pertanto, ci aiuterà a identificare le scuole ove è necessario aiutare i docenti con interventi compensativi per i loro studenti.

La questione dei voti e delle lodi al Meridione si presenta ben più complessa ed è riduttivo porla in termini di docenti “con la manica larga”, perché si finisce in una prospettiva moralistica che non aiuta a identificare la complessità dei problemi che si devono fronteggiare.

Come potrebbe cambiare “la maturità”

Ritornando alla questione “esame di maturità”, l’INVALSI sta lavorando alla preparazione di prove diverse destinabili a quel livello scolare; tutte le tipologie, in ogni caso, prevedono l’uso del computer da parte degli studenti nel rispondere alle prove e la correzione automatica. Ciò dovrebbe evitare le diverse forme di cheating, (gli “aiutini” che direttamente o indirettamente sono forniti agli studenti), fenomeno che assume forme più diffuse, ancora una volta, nel Meridione e che dovrebbe sgravare i docenti dal lavoro di imputazione dei dati.

Il Ministro Stefania Giannini ha più volte dichiarato la volontà di inserire in queste prove anche quella di inglese. L’INVALSI sta studiando questa possibilità e sono state presentate alcune proposte alternative al Ministero, avendo anche preso in esame le diverse modalità utilizzate in altri Paesi europei.

La modalità di realizzazione delle prove comunque siano, costituisce una scelta politica e non sono quindi nella disponibilità dell’INVALSI; si potranno svolgere in vero, in un momento separato e diverso dall’esame di maturità, ma con l’esito riportato nella certificazione finale; il momento potrebbe essere nel corso del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado o addirittura alla fine del quarto anno; la collocazione, in un periodo rispetto ad un altro, prende in carico un effetto non voluto di distogliere l’attenzione degli studenti rispetto all’andamento normale del curricolo e focalizzarla sulle prove, così come avviene ogni qual volta si propone un esame (o una verifica) a scuola.

Vi sono perciò riflessioni in corso in tal senso anche al Ministero e al momento non risulta che sia stata assunta una decisione in merito. Come si vede, come si suole dire, c’è molta carne al fuoco, ma anche un diffuso interesse per le sorti delle nostre istituzioni scolastiche che significa anche un’autentica cura per il futuro dei nostri giovani.