La formazione: farla bene non è facile

Molte risorse, tanti stimoli culturali, buoni suggerimenti metodologici… ma poi?

Nel recente passato, tra i punti di debolezza del nostro sistema di aggiornamento professionale, abbiamo sistematicamente evidenziato la scarsità di fondi dedicati e la mancanza di obbligatorietà.

La legge 107/2015 cerca di risolvere tali criticità. Il comma 124 “sancisce”, per gli insegnanti di ruolo, il principio della formazione in servizio come azione “obbligatoria, permanente e strutturale” ed impone, contestualmente, alle scuole di inserire nel PTOF proposte formative non solo per i docenti, ma per tutto il personale della scuola (comma 12).

Anche se l’obbligatorietà non si estende, con un preciso atto legislativo, ai dirigenti scolastici (DS) e al personale amministrativo (ATA), di fatto essi sono, allo stesso modo, sollecitati da articolate proposte e da importanti risorse economiche.

Le risorse destinate ai docenti

Per sostenere la formazione continua dei docenti e per valorizzare le loro competenze professionali vengono messi a disposizione 387 milioni di euro (comma 121). È la Carta elettronica che consente ad ogni docenti di fruire annualmente di 500 euro. A decorrere dall’anno 2016 vengono aumentati i finanziamenti anche alle scuole per permettere attività formative mirate. Il comma 125 fa riferimento a 40 milioni di euro annui, cui potranno anche aggiungersi fondi PON ad hoc.

Il Piano nazionale di formazione per i docenti (presentato il 3 ottobre 2016 e tradotto nel DM 19 ottobre 2016, n. 767) fornisce gli strumenti culturali ed operativi per facilitare le scuole ad organizzare percorsi che siano congruenti con le esigenze della comunità professionale e ad indicare strategie per il miglioramento degli esiti formativi degli studenti. Al punto 9 del documento uno schema analitico dà conto delle fonti di finanziamento e della ripartizione delle risorse nel triennio 2016-2019 distinguendo tra: azioni di sistema, la cui titolarità resta a carattere nazionale; azioni promosse dalle reti di ambito territoriale per la realizzazione dei progetti delle scuole autonome; azioni ad indirizzo nazionale sulle priorità, con ricaduta sulle scuole e sugli ambiti e in sinergia con la progettazione territoriale.

L’insieme delle proposte sembra voglia temperare lo spirito liberista della Card facendo emergere la necessità di una nuova governance territoriale che conferma la centralità della scuola, ma con l’occhio sempre attento alle responsabilità nazionali.

Le risorse destinate ai DS e al personale ATA

Una parte della formazione viene finanziata anche con la legge 440. Il 1° settembre 2016 il DM n. 663 dà conto dei fondi per i dirigenti scolastici e per il personale amministrativo. Ai primi sono riservati: un milione di euro per potenziare le competenze professionali (art. 24) sulle innovazioni introdotte dalla legge 107/2015; ulteriori 600 mila euro per progetti di formazione sulla valutazione (art. 27). Per i secondi l’art. 25 individua 2 milioni e 300 mila euro per iniziative volte a garantire una gestione efficace dei servizi.

Per orientare maggiormente le scelte dei dirigenti, di cui all’art. 24, un decreto direttoriale del 22 dicembre 2016 (n. 1441) ed una contestuale nota esplicativa (prot. n. 40586) dettano le condizioni, suggeriscono i modelli e selezionano alcuni contenuti. La stessa cosa avviene per orientare le scuole nell’utilizzo dei 2 milioni e 300 mila euro assegnati al personale amministrativo (decreto prot. n. 1443 e nota esplicativa n. 40587, anch’essi emanati il 22 dicembre 2016).

Contestualmente i DS e gli ATA sono anche destinatari di percorsi formativi compresi nelle azioni di sistema. Un esempio sono quelli in sinergia con il Piano Nazionale Scuola Digitale, per la cui realizzazione sono stati riservati, ogni anno, ben 10 milioni di euro.

Modelli efficaci, personalizzazione, condivisione e reti

Sembrerebbe quindi che i problemi segnalati ripetutamente negli ultimi decenni siano oramai superati: la formazione è ora obbligatoria per gli insegnanti, è comunque molto incoraggiata per i DS e per gli ATA, ci sono cospicue risorse a disposizione.

La formazione sembra essere, finalmente, nelle agende politiche ed amministrative, tanto che nelle note ministeriali vengono messe in evidenza anche le passate criticità, auspicando che possano essere superate attraverso un’attenta progettazione delle iniziative. Si dice, per esempio, che bisogna evitare le lezioni frontali e privilegiare workshop e modelli laboratoriali, se si vuole una formazione utile. Si suggerisce di non imporre attività uguali per tutti, ma di rispettare le diverse esigenze degli insegnanti (da qui anche la Carta elettronica). Si ricorda che l’efficacia dei percorsi dipende soprattutto dalla condivisione e dallo scambio, e che lavorare all’interno di reti, territoriali e di scopo, rappresenta una condizione ineludibile.

L’elenco potrebbe continuare. Basta, però, riflettere solo su questi tre principi (modello efficace, personalizzazione, condivisione/rete), collegarli con le pratiche usuali e con i problemi delle scuole, per capire come sia difficile trasformarli in comportamenti virtuosi e ancor più farli interagire in maniera proficua.

La difficile governance

Le indicazioni non mancano. Per esempio la nota 22 dicembre 2016 prot. n. 40586, relativa al piano di formazione DS, non si limita, come nel passato, ad individuare le risorse e a dare suggerimenti generici (un tempo tratti da direttive e contratti nazionali), ma si spinge fino a proporre un modello formativo e un repertorio di nuclei tematici da approfondire. Si punta sulla ricerca-azione a partire dalla definizione del compito all’interno di ogni gruppo di dirigenti, mediamente composto da 25 componenti, dalla messa a disposizione di esperienze, dall’elaborazione di materiali e dispositivi utili fino alla validazione degli stessi.

Le Linee guida sulle reti, a suo tempo emanate con la nota ministeriale 7 giugno 2016 prot. n. 2151, forniscono istruzioni accurate su come costruire le reti ambito e di scopo, ricordando anche che esse costituiscono l’espressione massima dell’autonomia scolastica.

Non si tratta, quindi, solo di suggerimenti metodologici di professionisti esperti, ma di precise indicazioni a carattere istituzionale che, in quanto tali, hanno una ricaduta maggiormente vincolante.

Le scuole, quindi, non possono ignorarle e continuare a reiterare le consuetudini e i modelli formativi del passato, e non possono neanche sottovalutare l’importanza della rete come strumento efficace per evitare il rischio di autorferenzialità e facilitare la comunicazione tra docenti. È una nuova stagione questa in cui si cerca di offrire garanzie istituzionali, nel rispetto dell’autonomia e delle esigenze formative degli insegnanti.

Si può tenere tutto insieme ed evitare gli insuccessi?

Parliamo quindi di interazione e di responsabilità: è un concetto teoricamente accettato da tutti, ma che, per diventare concretamente utile, forse ha bisogno di un tempo ulteriore di collaudo. Occorre avere consapevolezza di ciò che serve veramente, ma contestualmente poter disporre di soluzioni adeguate. Come sono le attuali offerte formative? Come vengono selezionate? Come vengono adattate ai diversi contesti di lavoro? Come vanno a collegarsi tra di loro?

Siamo dell’avviso che una indagine formale sull’analisi dei bisogni a livello di ambito territoriale non sia sufficiente per garantire risposte adatte a tutte le domande e a tutte le situazioni di scuola. Non lo è perché le richieste sono innumerevoli e differenti, e non tutte possono essere soddisfatte in poco tempo; ma anche perché non sempre si è consapevoli di quanto costi, in termini di tempo, impegno e sacrifici, mettersi alla prova su un cammino di lavoro partecipativo. Non lo è perché alla fine bisogna render conto non con il solito questionario di customer satisfaction, ma con il lavoro prodotto e validato attraverso pratiche efficaci (es. peer assessment). Ma anche perché ci sono difficoltà effettive a trovare (o a selezionare) le offerte giuste, e dopo tanti anni di latenza formativa anche la ricerca si è assopita, e con essa lo stesso mercato. Non lo è perché è difficile tenere insieme le priorità a carattere nazionale, quelle regionali, le iniziative delle istituzioni scolastiche e le scelte autonome dei diversi soggetti.

Mettiamo pure in conto che in questa prima fase non sarà possibile evitare ridondanze, giustapposizioni (di tempi e contenuti), inconcludenze, contraddizioni ed anche… insuccessi.

È pure una questione di “tempi”

L’obiettivo di tutti è quello di non disperdere le risorse destinate alla formazione ed impegnarsi a realizzare progetti che abbiano effetti reali. Su questo versante, come abbiamo prima accennato, c’è stato un grande impegno nazionale.

Ora, però, dobbiamo fare i conti con i tempi della scuola, che, come è noto, sono strutturalmente lenti. Non è semplice, per un una comunità di pratiche, accettare una idea nuova, e decidere di metterla alla prova. Si può sperare che funzioni solo se si rispettano passaggi precisi e procedure minuziose. L’accelerazione è garanzia di sicuro insuccesso, ancor più se aumentano le decisioni da prendere o i modelli da cambiare, o se le scelte sono difficili da gestire.

È qui che entra in gioco la discrasia, mai presa seriamente in considerazione, tra i tempi della scuola e i tempi dell’amministrazione.

Si danno risorse importanti, si raccomanda di innovare totalmente i modelli formativi, di rispettare le richieste degli insegnanti (vera leva strategica per il miglioramento della scuola), di promuovere la condivisione delle migliori pratiche attraverso reti di scuole, di valorizzare le risorse professionali. Contestualmente si chiede che tutto ciò sia portato a sintesi nell’arco di pochissimi mesi. Per esempio la nota Miur 13 gennaio 2017 prot. n. 1522, che riguarda le attività formative del piano nazionale per i docenti, indicava la data del 30 settembre 2017 come limite massimo per la rendicontazione delle attività svolte (data poi prorogata al 30 ottobre con la nota 6 marzo 2017 prot. n. 9684, che allega anche alcune utili indicazioni di carattere operativo e gestionale).

Nodi da sciogliere

Le azioni istituzionali indirizzate allo sviluppo del capitale professionale, a partire dalla legge 107/2015, costituiscono, al di fuori di ogni dubbio e giudizio, una svolta significativa. Ma tutti sanno che non basta l’impegno istituzionale a determinare automaticamente un’efficace ricaduta sulle scuole. Occorre capire bene le difficoltà reali, osservare i processi e controllarne la tenuta.

Questione di “tempi”

La prima difficoltà risiede nel rapporto tra le novità da mettere in atto e i tempi limitati per la rendicontazione. Avere maggiori risorse su cui contare non costituisce l’unica garanzia per fare una buona formazione. Le innovazioni culturali e metodologiche poste in essere dalle stesse disposizioni normative hanno bisogno di tempi distesi: per effettuare scelte pensate, per la piena comprensione dei processi, per la condivisione all’interno del gruppo di lavoro, per la realizzazione di prodotti significativi. Ora, “in prima applicazione” i corsi non partono (tendenzialmente) prima del mese di marzo. Se le scuole-polo devono predisporre tutti gli atti amministrativi per inviare la rendicontazione agli Uffici Scolastici Regionali entro il 30 ottobre, il tempo risulta assai compresso, e metterà inevitabilmente a rischio il senso stesso della formazione. Perché non immaginare di rivedere le regole contabili e amministrative, e biennalizzare l’iter dei percorsi formativi, facendolo ricadere su due o tre esercizi finanziari?

Svecchiamento dell’apparato amministrativo

Allo stato attuale sembra arduo conciliare gli aspetti gestionali e contabili (tra cui sono essenziali la rendicontazione e il saldo degli acconti) con le innovazioni proposte per rendere efficaci le attività svolte. C’è un distacco che appare incolmabile tra i diversi settori dell’amministrazione dello Stato. Mentre le norme sui sistemi nazionali e sugli ordinamenti si evolvono con una certa frequenza, e sono in sintonia, quindi, con le innovazioni scientifiche e culturali, i riferimenti amministrativi restano vecchi di almeno un ventennio. Per esempio i criteri di riferimento per le attività di docenza, di direzione, organizzazione, controllo delle singole iniziative, sono affidati al Decreto Interministeriale 12 ottobre 1995 n. 326 (sono passati 22 anni).

Avviso pubblico o chiamata diretta

Ma come vengono reclutati i formatori? Con avvisi pubblici seguendo le indicazioni del nuovo codice degli appalti (D.Lgs 18 aprile 2016, n. 50)? O per chiamata diretta ed affidamento ad hoc per acclarata competenza, connessa, ovviamente, con le esigenze espresse dalle scuole? Se si procede per “avviso” sarà possibile, per esempio, affidare ruoli interni a docenti esperti e/o a gruppi di ricerca? In caso negativo si incorrerebbe in una palese contraddizione. La mancanza di utilizzo di risorse interne limita l’efficacia dello scambio delle buone pratiche che, come è noto, costituisce uno degli aspetti più significativi per la crescita professionale, ben messo in evidenza dalle note ministeriali.

La difficoltà di fare rete

Abbiamo incominciato a parlare di rete quasi 20 anni fa (DPR 275/1999). La legge 107/2015 (commi 70, 71, 72) riassume e rilancia le diverse istanze che ne hanno connotato la storia: accordi, rappresentanze, innovazione, diffusione di buone pratiche ecc. Malgrado ciò sussistono ancora difficoltà reali a rendere proficui i lavori di rete. C’è una debolezza giuridica che alcuni sindacati evidenziano per rivendicare il diritto di ogni scuola ad avere proprie risorse per la formazione. C’è una certa confusione tra i compiti delle scuole-polo: alcune mescolano le azioni amministrative e di supporto con le azioni organizzative e di indirizzo, facendosi carico di entrambe. C’è inoltre una diffusa difficoltà a portare a sintesi, con offerte adeguate, le esigenze assai differenti tra scuola e scuola, e tra tipologie di insegnanti[1].

Tali difficoltà, endemiche in questa prima fase, se non vengono prese in carico, possono mettere a rischio tutte le migliori intenzioni volte a rendere la formazione il volano indispensabile dell’innovazione e del miglioramento della scuola.

[1] Si rimanda alla citata nota MIUR 6 marzo 2017 prot. n. 9684, che offre alcune indicazioni utili a dirimere le molte questioni operative che stanno sorgendo in fase di prima attuazione del Piano di Formazione.