La scuola italiana più inclusiva delle altre, ma solo sino a 16 anni

L’ultima indagine OCSE premia l’Italia

È del 28 marzo scorso la pubblicazione dell’indagine OCSE (“Le disparità socio-economiche nell’ambito delle competenze aumentano tra età adolescenziale e giovani adulti?”[1]) che ha riconosciuto al sistema scolastico italiano una maggiore inclusività e una maggiore capacità di ridurre le differenze socio-economiche tra gli studenti rispetto ad altri Paesi. Almeno sino alla fine del primo biennio delle scuole del secondo ciclo.

Dopo, il gap tra famiglie abbienti con almeno un genitore laureato e famiglie meno abbienti con genitori con un basso livello d’istruzione, tende ad aumentare di più rispetto agli altri Paesi europei. Il sistema scolastico, quindi, non riesce più a colmare lo svantaggio sociale delle famiglie, con conseguenti fenomeni di insuccesso, ritardi, dispersione, drop-outearly school leavers ed evasione scolastica, che vanno ad infoltire la schiera dei NEET, i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni senza un lavoro, né studio, né formazione.

E proprio in questa direzione sembrano andare le dieci azioni PON messe a bando, in queste settimane, così come sottolineato dal ministro Valeria Fedeli.

La disparità “socio-economica” negli apprendimenti

La recente indagine OCSE, quindi, vuole mettere in risalto proprio il divario tra studenti avvantaggiati, con almeno un genitore laureato e almeno 100 libri in casa, e studenti svantaggiati, con genitori con un basso livello d’istruzione e con meno libri a disposizione, attraverso un indice di sperequazione che vede l’Italia sotto il livello medio OCSE. Questa volta, però, i paesi sono classificati in ordine discendente del gap.

Secondo lo studio OCSE, un gap standardizzato minore di 0,3 è considerato piccolo, un divario standardizzato tra 0,3 e 0,5 è di medie dimensioni, e un gap standardizzato superiore a 0,5 è grande.

In altri termini: la scuola italiana, con un indice di 0,45 (inferiore all’average OCSE di 0,48), è più inclusiva di quella australiana, tedesca, spagnola, polacca, canadese, danese, turca, ceca, belga e statunitense.

Meglio dell’Italia, con minori sperequazione tra quindicenni provenienti da ambienti socio-economici differenti, Austria, Francia, Irlanda, Finlandia, Corea, Grecia, Svezia, Nuova Zelanda e Norvegia.

Disparità nell’alfabetizzazione tra individui con e senza genitori con formazione universitaria all’età di 15 anni (PISA) e 26/28 anni (PIAAC).

Il quadro di riferimento: PISA e PIAAC a confronto

Attualmente non ci sono dati evinti da studi longitudinali condotti dal PISA sugli studenti nel tempo, e per poter cogliere come le disparità socio-economiche influiscano sul conseguimento dei risultati nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta è possibile comparare le disparità socio-economiche osservate dall’OECD nel sondaggio sulle abilità degli adulti (PIAAC) con le disparità osservate 12 anni prima dal PISA.

La recente indagine Ocse, pertanto, è stata realizzata confrontando i risultati delle indagini PISA[2] del 2000 sulle competenze dei quindicenni in Lettura e Matematica con i risultati del programma PIAAC[3] del 2012 per i 25-27enni, i quali ci dicono che l’Italia ha un sistema scolastico maggiormente inclusivo e più capace di ridurre le differenze sociali tra gli studenti rispetto ad altri Paesi.

PISA e PIAAC hanno due indicatori socio-economici in comune: l’istruzione dei genitori e il numero di libri che gli alunni avevano in casa all’età di 15 anni (PISA) e in seguito a 27 anni (PIAAC). La valutazione della matematica e della lettura effettuata da PISA, e quella dell’alfabetizzazione e l’abilità di calcolo in PIAAC, non sono direttamente comparabili, anche se la struttura è molto simile. Quindi, se anche non è possibile valutare la crescita delle competenze, è possibile valutare le differenze tra coloro che hanno almeno un genitore che ha effettuato gli studi universitari e coloro che non ne hanno, come anche tra coloro che all’età di 15/16 avevano più di 100 libri e quelli con meno di 100 libri.

L’istruzione dei genitori incide sul successo formativo dei figli

PISA dimostra, con un test, come la famiglia, l’istruzione e la società abbiano un ruolo importante nelle prestazioni dei quindicenni, e chi è in posizione economicamente svantaggiata ottenga, in genere, risultati inferiori, almeno nelle tre literacy oggetto dell’indagine (matematica, lettura e scienze).

Tra i 16 ed i 27 anni si verifica, così, un “effetto a ventaglio”, poiché la crescita dei successi tra gli adolescenti e i giovani adulti è più veloce tra gli individui economicamente avvantaggiati, cioè con almeno un genitore laureato e con più di 100 libri in casa.

I giovani in posizione economica di svantaggio che non hanno accesso ad ulteriori fonti culturali, pertanto, hanno meno possibilità di proseguire gli studi, sono più a rischio d’abbandono, incontrano maggiori probabilità di rimanere fuori dalla forza lavoro.

La scuola da ascensore sociale a strumento di differenziazione?

Questi risultati aiutano anche a formulare ipotesi sul perché il divario tra studenti di famiglie avvantaggiate e svantaggiate aumenta in molti paesi soprattutto dopo l’obbligo di istruzione, e perché le scuole non sono più in grado di esercitare il loro effetto di compensazione o di calmierare le disuguaglianze sociali che inevitabilmente si ripercuotono sulle disuguaglianze educative.

Dai dati esposti anche dall’OCSE sembra evidente che la scuola stia perdendo quel ruolo di ascensore e rimescolamento sociale, anzi finisca per legittimare quelle disuguaglianze di partenza, e in alcuni casi contribuisca addirittura ad aumentare quel deficit cumulativo di cui parlava Martin Deutsch.

Allora davvero la scuola “è un ospedale che cura i sani e respinge i malati, e diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”?

A distanza di cinquant’anni, il monito del priore di Barbiana, mai sopito, appare più che mai attuale.

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[1] Do socio-economic disparities in skills grow between the teenage years and young adulthood?

http://www.oecd-ilibrary.org/docserver/download/3c7dc862-en.pdf?expires=1491396907&id=id&accname=guest&checksum=654E81A7B38D25C2CBE888A00B3EFE59

[2] Programme for International Student Assessment: è l’indagine internazionale promossa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per accertare con periodicità triennale i risultati dei sistemi scolastici.

[3] Programme for the International Assessment of Adult Competencies: in Italia PIAAC è promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che ha incaricato l’ISFOL, Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori, di realizzare l’indagine e gli studi a essa collegati.

L’indagine ha lo scopo di conoscere attraverso un questionario e dei test cognitivi specifici le abilità fondamentali della popolazione adulta compresa tra i 16 e i 65 anni, ovvero quelle competenze ritenute indispensabili per partecipare attivamente alla vita sociale ed economica nel 21esimo secolo.

PIAAC mira ad avere informazioni sulle competenze fondamentali degli adulti – definite dall’OCSE foundations skills – e in particolare sulla lettura (Literacy), sulle abilità logico-matematiche (Numeracy) e sulle competenze collegate alle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT). Inoltre, per la prima volta in uno studio internazionale, l’indagine PIAAC fornisce indicazioni su come le persone fanno uso delle competenze non solo nella loro vita personale, ma anche durante la loro attività lavorativa.

Al primo ciclo dell’indagine PIAAC, svolto nel periodo 2011-2012, hanno partecipato 24 Paesi, di cui 17 facenti parte dell’Unione Europea, tra cui l’Italia. I risultati internazionali di PIAAC sono stati resi noti nel rapporto curato dall’OCSE e pubblicato nell’ottobre del 2013: http://www.isfol.it/piaac/che-cos2019e-piaac