Don Milani: scrittura e inclusione sociale

Le regole dello scrivere

Scrive uno dei  ragazzi del Priore in Lettera a una professoressa (LP):

A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire  e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo.

Così scrivo coi miei compagni questa lettera. Così spero che scriveranno i miei scolari quando sarò maestro.

Nella scuola di quella povera parrocchia di montagna, i ragazzi sperimentano un tipo di scrittura  inesistente nelle aule delle scuole statali: il testo collettivo.  Scrivere diventa un’impresa comune di un intero gruppo, un vero e proprio laboratorio didattico in cui ognuno  deve saper fare la propria parte.

La lingua ci fa uguali…

Il sapere  è frutto di un lavoro di scavo, di ricerca, di tessitura; non è fine  a se stesso e, soprattutto,  proviene da alunni che  non “hanno la cultura in casa” e non parlano come tanti  “libri stampati”.

Dicono i ragazzi di  don Milani che la conoscenza  ha un fine ultimo: “Dedicarsi al prossimo: fai strada ai poveri senza farti strada”, e un fine  immediato: “intendere gli altri e farsi intendere.  Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli” (LP).

Per queste ragioni, la scuola di Barbiana è una finestra  sul mondo. Per conoscere gli uomini e gli altri paesi,  i ragazzi devono sapere le  lingue, andandole a imparare, lavorando, in Europa e in Africa. Infatti, “ogni popolo ha la sua cultura  e nessun popolo ce n’ha meno di un altro. La nostra è un dono che vi portiamo. Un po’ di vita nell’arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri” (LP).

Alla fine è successa questa disgrazia…

La lingua di don  Milani è tagliente, dura, priva di orpelli; a leggerla oggi si può provare un senso di fastidio. Invece, ricorda Michele Gesualdi,

Mi sembra che questo modo di esprimersi riveli ancora una volta lo spessore del sacerdote, del maestro, dell’educatore che conosce a fondo i suo popolo. … La scuola deve suscitare la capacità di dare la parola, di farla capire, di aprire e liberare le menti ed i cuori  e di raggiungere gli altri. (Gesualdi, 2005)

Il 31 gennaio 1962 Don Milani, su invito  dell’assessore alla Pubblica istruzione del Comune di Firenze, incontra i direttori didattici toscani. In questa circostanza ribadisce quanto aveva già affermato in Esperienze pastorali: il compito di un prete è predicare il vangelo; in greco non si può, bisogna farlo in italiano. In quell’incontro egli afferma:

Resta da dimostrare che i miei parrocchiani intendano l’italiano. … Quantunque siano toscani, quantunque usino espressioni dantesche ogni poco, non son capaci di un discorso lungo, di un discorso complesso, di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì.  … Ecco perché ho iniziato il mio apostolato dalla scuola, con l’insegnare la grammatica italiana. Alla fine è successa questa disgrazia di innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro.

Noi a scrivere si fa così

Come ampiamente sottolineato, a Barbiana si inventa una nuova forma di scrittura: il testo collettivo, tramite una “tecnica” che richiama il lavoro svolto normalmente dalla redazione di un giornale.

Noi dunque si fa così. Per prima cosa ognuno tiene in tasca un notes. Ogni volta che viene un’idea ne prende appunti. Ogni idea scritta su un foglietto separato e scritto da una parte sola (LP).

Dopo questa fase iniziale, i foglietti vengono collocati su un grande tavolo  e si comincia il lavoro di ideazione del testo: si eliminano i doppioni, si uniscono quelli “imparentati” in capitoli. Ogni capitolo si divide in “monticini e son paragrafi” ai quali vengono dati dei nomi.

Nasce così uno schema che coincide con la definizione di un piano linguistico e si “butta giù” una prima versione del testo, che viene ciclostilato.

Poi forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto all’aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila un’altra volta. Comincia la gara a chi trova parole  da levare, aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole difficili, frasi troppo lunghe, … Si chiama un estraneo dopo l’altro… Si accettano i loro consigli purché siano per la chiarezza. Dopo che s’è fatta tutta questa fatica, si trova sempre l’intellettuale cretino che sentenzia: “Questa lettera ha uno stile personalissimo” (LP).

L’arte di scrivere

La lingua è arte dello scrivere solo se produce opere  vere, autentiche. Il testo è

l’espressione delle potenzialità di ciascuno che si può concretizzare solo collettivamente. Nel lavoro collettivo ognuno si depriva della parte peggiore di sé e, sostenuto dagli altri, conserva solo quanto di sé ha di positivo. Tutto ciò è possibile solo dopo aver trovato una simbiosi di vita, dopo aver organizzato la scuola come comunità (Guzzo, 1988).

Scrittura collettiva e inclusione sociale vanno di pari passo!

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Bibliografia

Gesualdi M. (a cura di) (2005), Don Lorenzo MIlani. La parola fa eguali,  Libreria Editrice Fiorentina, Firenze.

Guzzo G. (1988), Don Lorenzo Milani, un itinerario pedagogico,  Rubbettino Editore, Cosenza.