Le innovazioni indispensabili per la scuola reale

A che punto siamo?

Europa, anche a causa della pandemia, non significa più solo eurocrazia, establishment economico-finanziario, élite micragnose dentro grattacieli in vetrocemento, prevalenza dei Paesi cosiddetti “frugali”, Austerity as usual.

I giochi si stanno riaprendo: basta pensare al recente Trattato del Quirinale Italia-Francia. Contestualmente già da qualche tempo l’Unione Europea sta esprimendo un impegno volto a orientare i Paesi che ne fanno parte verso standard sociali e formativi più evoluti.

Un’altra era geologica: le priorità e gli obiettivi per il 2020

Torniamo, per un istante, alle Strategie per il 2020 del Consiglio europeo del 17 giugno 2010, un’altra era geologica. Erano state indicate tre priorità (crescita intelligente, crescita sostenibile, crescita inclusiva) e cinque obiettivi comuni.

  • Innalzamento al 75% del tasso di occupazione.
  • Aumento degli investimenti al 3% del PIL per ricerca e sviluppo.
  • Traguardi “20, 20, 20” in materia di clima/energia[1].
  • Abbassamento a meno del 10% del tasso di abbandono scolastico e aumento della percentuale di laureati (oltre il 40%).
  • 20.000 persone in meno a rischio di povertà.

Ridurre i tassi di abbandono

Ha prevalso la lotta all’emarginazione, con previsione, già allora (nel 2010), che almeno 20 milioni di europei avrebbero potuto cadere in una condizione di povertà. La crisi non è stata provocata dalla pandemia, c’era prima della pandemia, la pandemia ha contribuito ad accentuarla e al contempo a modificarla.

In Italia, prima della pandemia, c’erano circa 5 milioni di persone sotto la soglia di povertà; 11 milioni quelle che arrivavano a rinunciare, in toto o in parte, a curarsi, per motivi economici. La disoccupazione giovanile era sopra il 30%.

Sempre tra le Strategie per il 2020, nel campo dell’istruzione, c’era l’obiettivo della riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e l’aumento al 40% dei giovani con un’istruzione universitaria. Purtroppo sui titoli di studio universitario l’Italia è tuttora penultima nella graduatoria dei laureati dell’Unione europea, davanti solo alla Romania.

Un grande progetto di piccole opere

Dal 2010 sono passati undici anni. Il 2020 è alle nostre spalle. Che cosa è stato fatto? Occorre riconoscere che l’Italia si è dotata di politiche di contrasto alla povertà e di incentivi di varia natura a favore della sostenibilità ambientale. In entrambi i casi non senza accese discussioni politiche. Sulla dispersione, invece, si è fatto, purtroppo, ancora troppo poco.

Anche in questo caso sarebbe consigliabile lasciare da parte operazioni di facciata o calate dall’altro. Si tratta di dotarsi, intanto, di un vero e proprio Piano per l’Orientamento che si configuri come un grande progetto di piccole opere, didattiche e culturali, contro la dispersione. Una mobilitazione di sforzi, comunità per comunità, mettendo insieme Istituzioni scolastiche, Uffici scolastici provinciali e regionali, Enti locali con i loro servizi sociali, sportelli di ascolto, supporti psicologici, progetti per l’ampliamento dell’offerta formativa, corsi di recupero ad hoc e in itinere, una specifica formazione per i docenti, figure di sistema, non una pura e semplice digitalizzazione ma un impiego appropriato della competenza digitale.

Contro le diseguaglianze

Prima del Covid-19, il nostro Paese, in campo educativo, evidenziava una disomogeneità nei risultati scolastici tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, conseguenza di una asimmetria nord-sud e di una mobilità sociale tale da confermare uno stato di sperequazione nell’istruzione. Persistenza di una questione meridionale unita ad un ascensore sociale bloccato. A seguito della pandemia, tuttora in atto, la tendenza si è aggravata: lo si può osservare negli esiti allarmanti sulla dispersione, esplicita e implicita, come nell’inadeguatezza della preparazione di una porzione rilevante e in crescita di studenti.

Prodotto interno educativo

L’Italia mostra storici affanni non solo sul PIL, il prodotto interno lordo, da ultimo mitigati da un’incoraggiante ripresa, ma anche sul PIE, cioè il prodotto interno educativo. Secondo l’ISTAT i livelli di competenze degli studenti italiani sono molto variabili anche in relazione al tipo di scuola frequentata, fenomeno strettamente connesso alle condizioni socio-economiche familiari. Il nostro Paese si colloca all’ultimo posto nella graduatoria europea nella percentuale di quanti hanno migliorato la propria situazione economica rispetto a quella della famiglia di origine. La ripartenza non può essere un tornare alla situazione precedente: deve portare il segno di una svolta.

Usare bene la competenza digitale

Nell’arco di un paio di generazioni siamo passati dal pennino intinto nell’inchiostro al web, senza dover rinunciare né alla lettura né alla scrittura. Sappiamo bene che la lezione “ex cathedra” ha avuto – ed ha – le sue ragioni. Sappiamo altresì che i libri erano, sono e resteranno essenziali. Costituiscono un fondamento della nostra cultura. Ciò non significa che debbano essere affidati solo all’invenzione della stampa del buon Gutenberg (vissuto tra il 1400 e il 1468): possono essere prodotti anche in formato digitale, come sollecita da tempo la legislazione sull’adozione dei testi scolastici. Il libro è già, esso stesso, veicolo di una relazione a distanza, attraverso i secoli e i continenti. Forse è giunto il momento di considerare i sussidi digitali un’occasione preziosa per alleggerire gli zaini (costosi e griffati), che gravano sulle spalle degli studenti, e i trolley, che molti docenti trascinano lungo i corridoi delle scuole. Il peso della cultura può trasformarsi in ciò che soprattutto conta: qualità.

Dal sapere affidato ai volumi (dell’editoria privata) ad una dematerializzazione che non escluda l’autoproduzione (da parte dell’istituzione scolastica pubblica).

Dal cartaceo al digitale

Ciò non significa disconoscere il contributo, non solo produttivo, anche culturale, dell’industria del testo scolastico. Stiamo parlando di un mondo che è ben avvertito dei cambiamenti in atto e che è pronto ad accoglierli, come in parte sta già facendo, più di quanto non si creda. La transizione in atto si affronta anche grazie ad una rinnovata alleanza tra mondo della scuola e industria del testo scolastico. Il fine è anche quello di mitigare i costi, per gravare il meno possibile sulle famiglie, specie in una situazione economico-sociale come quella che si sta delineando. Il digitale ha, inoltre, una maggiore attrattività, che non significa però una minore serietà, ma una maggiore efficacia del messaggio educativo.

Costruire con concretezza gli ambienti di apprendimento

Da tempo si parla di ambienti di apprendimento. Il rischio è quello di assecondare una tendenza retorica fatta di belle parole, buoni propositi, ottimi auspici, con scarsa incidenza sulla realtà. Per essere più concreti bisogna collegare la costruzione di ambienti di apprendimento alla transizione ecologica della società e dell’economia, in particolare alla sostenibilità energetica degli spazi scolastici, ai beni comuni, alla salute e alla sicurezza.

Qualsiasi progetto per una nuova cultura digitale, che abbia chiare motivazioni di sostenibilità sociale e ambientale, deve partire da proposte concrete.

Dagli zaini alle chiavette USB. I primi da portare faticosamente sulle spalle in una specie di trekking urbano. Le seconde da infilare comodamente in tasca. Anche a questo dovrebbe servire una piattaforma digitale nazionale, al servizio della scuola pubblica. Se ne è parlato tanto, forse sarebbe il caso di provarci sul serio.

Una sorprendente innovazione: il controllo dei green pass

Ministero dell’Istruzione, Ministero della Salute, Ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso la società SOGEI, grazie al consenso del Garante nazionale per la protezione dei dati personali, in due settimane, dal 1° settembre (inizio dell’anno scolastico), a metà settembre (inizio delle lezioni) hanno realizzato un sistema interoperativo – la SuperApp su SIDI – per il controllo dei green pass.

È stato un risultato sorprendente, per la tempestività, la rapidità, l’efficacia. Un salto in avanti sotto il profilo dell’innovazione amministrativa e digitale. Altrettanto tempestiva è stata la rivisitazione della piattaforma, sempre su SIDI, per distinguere tra verifica del green pass (di base) e verifica del green pass rafforzato in relazione all’applicazione dell’obbligo vaccinale puntualmente attiva dalle ore 7 del 15 dicembre scorso. L’ennesima dimostrazione del fatto che – se c’è una chiara volontà politica – il know-how tecnologico oggi può favorire davvero un cambio di sistema.

Integrazione nella didattica

Aver demonizzato la DAD non è stato ragionevole. In un’emergenza sanitaria straordinariamente inedita, la DAD non è stata altro che un tentativo, pur segnato da tanti limiti, per garantire, almeno in parte, il diritto all’apprendimento. Una scialuppa al fine di rendere meno drammatico il naufragio.

È evidente che la DAD non può essere mero tecnicismo, ma ulteriore approccio all’istruzione nelle condizioni date. Non può affidarsi solo a meccanismi di ordine pratico, deve costruire, all’interno di situazioni nuove, condizioni diverse per curare soprattutto i rapporti collaborativi e relazionali. Non si tratta di digitare dei tasti, ma di accendere una curiosità, di suscitare un interesse. La DAD è come una frontiera da attraversare per conseguire occasioni inedite di personalizzazione degli apprendimenti.

La demonizzazione può trasformarsi in un boomerang specie nella scuola secondaria di secondo grado. La pandemia tuttora in atto ha una curva che sale, ci sono regioni che assumono la colorazione gialla. Sono le stesse famiglie a chiedere che i loro figli “positivi” e/o “in quarantena”, possano proseguire nelle attività didattiche e continuare ad avere rapporti, seppure a distanza, con i compagni di scuola.

Collegamento da remoto

Precisiamo bene per evitare fraintendimenti: in questo caso non si tratta di DAD (didattica a distanza) in senso stretto, la quale comporta una metodologica diversa, ma si tratta di un collegamento da remoto che prosegue la didattica che si svolge, in presenza, in aula. Può essere un paradosso: per proseguire con la didattica in presenza, nelle condizioni date, occorre acconsentire al collegamento da remoto.

D’altra parte, non da oggi, ma dal DM 89 del 7 agosto 2020, siamo entrati nella prospettiva dell’integrazione tra presenza e distanza. D’ora in avanti sarebbe corretto parlare non di DAD ma di didattica digitale integrata (DDI).


[1] 20% di riduzione delle emissioni di gas serra; 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili; 20% di aumento dell’efficientamento energetico.