A cosa serve l’esame di Stato

Un dibattito ricorrente, come per la nazionale di calcio

Il dibattito sugli esami di maturità (rectius, esami di Stato conclusivi dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado) è, perdonate l’irriverenza, un po’come quello per la Nazionale di calcio. Periodicamente il tema si riaccende: in occasione di europei e mondiali per la Nazionale, ogni anno per gli esami di Stato. Per le sessioni degli ultimi due anni (2020 e 2021) l’emergenza sanitaria ha portato il Parlamento e l’Amministrazione scolastica a scelte di semplificazione rispetto al quadro ordinamentale stabilito dal decreto legislativo 62 del 13 aprile 2017.

Un ordinamento non ancora attuato pienamente

Non è privo di risvolti il fatto che, in realtà, quel quadro ordinamentale si è attuato una sola volta, nella sessione del giugno 2019, e pure in forma incompleta in quanto privo degli obblighi relativi all’alternanza scuola-lavoro (oggi PCTO[1]) e alle prove Invalsi[2] oltre che per la mancanza nel 2019 del Curriculum dello studente[3], introdotto in forma iniziale nel 2021. Cioè, il quadro ordinamentale del decreto 62/2017 non si è mai pienamente dispiegato, neanche nel 2021 allorquando il Parlamento ha autorizzato il Ministero ad attivare modalità derogatorie della legge.

Insomma, la domanda su “come sarà la maturità nel giugno 2022” non è priva di fondamento e rimanda a due nodi: da un lato il perché dell’esame, dall’altro alle concrete modalità possibili con cui esercitarlo ai tempi (purtroppo perduranti) della pandemia.

Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare

Forse si deluderà qualcuno, ma siamo convinti che l’analisi di questo perché e delle concrete modalità possibili ci spinga, almeno per quest’anno a non cambiare (come suggeriva la canzone di Mina nel lontano 1963) la forma derogatoria adottata nel giugno 2021: commissione interna, presidente esterno, non effettuazione delle due prove scritte, colloquio strutturato con l’elaborato sulle discipline caratterizzanti assegnato allo studente in anticipo, discussione di un breve testo già oggetto di studio, analisi del materiale scelto dalla commissione, esposizione dell’esperienza di PCTO. Anzi, questa formula può essere suggerita, con eventuali aggiustamenti, anche a regime, in quanto unisce in modo equilibrato diverse finalità dell’esame stesso (come di seguito proviamo ad argomentare). 

Primo nodo: perché l’esame

Il dibattito sull’esame porta a galla le “valenze implicite” che gli attori del dibattito assegnano all’esame stesso. A cosa serve, dunque, l’esame? È un rito di passaggio all’età adulta? Serve per mettere lo studente in una situazione mai sperimentata finora e vedere cosa sa mettere in campo? Serve per verificare cosa ha imparato? Serve per accertare se i risultati scolastici attestati dalla scuola sono veritieri? Serve per appurare l’operato delle scuole?

Alcune sono domande improprie o hanno enfatizzazioni improprie. Le valenze dell’esame in realtà sono esplicite e sono definite dalla normativa, che rappresenta il nostro ethos condiviso. L’art. 12 del decreto 62/2017 (“Oggetto e finalità”) dice che l’esame di Stato “verifica i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi, anche in funzione orientativa per il proseguimento degli studi di ordine superiore ovvero per l’inserimento nel mondo del lavoro. L’esame tiene conto anche della partecipazione alle attività di alternanza scuola-lavoro” (ora PCTO), “dello sviluppo delle competenze digitali e del comma 28 della legge 107/2015” (curricolo dello studente) e “delle attività svolte nell’ambito di «Cittadinanza e Costituzione»”.

Questi obiettivi ci sono tutti nella forma dell’esame di giugno 2021, incluso il fatto che “conoscenze, abilità e competenze proprie dell’indirizzo di studi” sono anche attestate dai 40 punti di credito scolastico con cui lo studente si presenta all’esame.

Secondo nodo: le lezioni della pandemia

La pandemia spinge alla prudenza. La forma attuale dell’esame garantisce condizioni di svolgimento in sicurezza, anche limitando la presenza di candidati e commissari. Non è immaginabile un tour-de-force da due a cinque giornate di prove scritte di 6-8 ore con la mascherina, con le problematiche legate agli obblighi vaccinali e di green-pass, con la mobilità dei classici commissari esterni, con la correzione collegiale di sette o più membri per 12.000 commissioni per intere giornate, con la presenza di docenti e studenti in situazione di fragilità rispetto al contagio.

Soprattutto: la pandemia è stata anche, nella sofferenza in primis dei nostri studenti, una fonte di riflessione sulle pratiche ed opportunità di cambiamento. Non dobbiamo semplicemente desiderare di “lasciarcela alle spalle” per tornare al mondo di prima, ma dobbiamo ricordarci le tante “lezioni apprese”. E certamente la pandemia ci ha insegnato: semplificazione, focalizzazione sull’essenziale, duttilità, mobilità delle procedure, focalizzazione sui bisogni degli studenti e sulla modalità di esercizio della professionalità dei docenti, centralità della comunicazione, protagonismo degli studenti, fiducia nell’autonomia delle scuole. Sono questioni di fondo interpretate e messe alla prova nella recente formula dell’attuale esame di Stato.

Commissari interni

Vediamo, nelle modalità scelte per l’esame del giugno 2021, l’aderenza ai “perché” dell’esame e le modalità compatibili con la pandemia. 

Nel dibattito pubblico si evidenzia che l’esame è uno strumento poco efficace ed economicamente dispendioso per la misurazione degli esiti reali degli studenti. Nell’esame pre-pandemia con i commissari esterni, per la quasi totalità degli studenti (oltre il 99%) l’esame aveva esito positivo, e questo indica che non ha valore selettivo: è più selettivo persino il giudizio di ammissione all’esame da parte del Consiglio di classe, con percentuali intorno al 95% [4]. Inoltre, il voto d’esame rispecchia i voti dei Consigli di classe, perché il credito di ammissione è un predittore all’86% del voto di diploma[5].

Tanto vale prenderne atto, lasciando al Consiglio di Classe la responsabilità di concludere il percorso d’esame cominciato con lo scrutinio di ammissione. Tra l’altro, con l’attuale formula si elimina del tutto anche il fenomeno delle “rinunce” dei commissari esterni. In tempo di pandemia, resta anche difficile chiedere ad oltre 50.000 commissari esterni di svolgere il proprio servizio in un’altra scuola e in un’altra città.

Presidenti esterni

La figura del presidente esterno costituisce quel presidio di garanzia e terzietà nello svolgimento dell’esame. Negli scorsi anni tale responsabilità è stata assegnata ai commissari esterni. Qualche volta il mandato si estendeva indirettamente (e di fatto) anche alla valutazione della qualità didattica dei docenti. L’impianto dell’esame è (giustamente) calibrato solo per una valutazione degli studenti. Se vogliamo valutare come le scuole lavorano, dobbiamo intervenire ben prima del momento dell’esame, ad esempio ampliando l’azione degli “ispettori”[6] sul territorio a partire dall’aumento del contingente attuale (solo 190 unità), che è totalmente insufficiente.

Discussione sull’elaborato assegnato allo studente

La discussione dell’elaborato rappresenta un momento qualificato per lo studente, permette di far emergere le competenze complessivamente acquisite nelle discipline di indirizzo in modo più organico ed unitario rispetto alle “sei interrogazioni” sulle singole discipline (perché a questo si riduceva spesso il colloquio pre-pandemia). Si può anzi dire che l’elaborato, richiesto oggi all’allievo, restituisce finalmente al colloquio la forma prevista dalla normativa di verifica multidisciplinare delle competenze maturate ed esalta il protagonismo dello studente. È una modalità che richiama, mutatis mutandis, la funzione svolta in sede di laurea dalla discussione della tesi.

Qualcuno obietta che lo studente potrebbe farsi fare tutto il prodotto da altri. Questo è vero, ma tale incognita vale anche per le tesi universitarie, che nessuno contesta, soprattutto in nessun modo in sede d’esame si valuta solo l’elaborato, ma la capacità dello studente di argomentare, cioè come sa “difendere” il suo punto di vista davanti alla commissione.

Colloquio sui PCTO e sull’Educazione civica

Il colloquio, dunque, consente alla commissione di verificare in modo più ampio le competenze maturate, incluse quelle di espressione nella lingua madre, non più verificate con lo scritto di Italiano. Dal colloquio i commissari devono capire se gli studenti sono capaci di utilizzare le conoscenze acquisite e di metterle in relazione tra loro per argomentare in maniera critica e personale, utilizzando anche la lingua straniera.

La discussione sui Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PTCO) e sulle competenze relative all’Educazione civica, all’interno delle singole discipline, trova nell’esame il suo coronamento, sia per la trasversalità, sia soprattutto per la dimensione dell’orientamento al futuro, così come è stata maturata dallo studente. Anche se semplificato, l’esame di Stato rimane il “rito di passaggio” al termine del corso di studi.

Si può rinunciare alle prove scritte?

È questo il punto di maggiore criticità nel dibattito attuale. Ad alcuni gli scritti appaiono irrinunciabili. Tuttavia, lo scopo dell’esame non può essere quello di riprodurre le forme di verifica a cui gli studenti sono già stati sottoposti nel corso degli anni. Tra l’altro la forma dell’elaborato di 6-8 ore è stato di fatto eliminata anche dagli stessi concorsi pubblici, a favore di produzioni scritte più snelle.

A quanti ritengono più utile riprodurre anche in sede d’esame la verifica puntuale delle conoscenze disciplinari, si può facilmente obiettare che tali conoscenze, sia scritte che orali, sono state largamente verificate dalle scuole nel corso di cinque anni di studio ed in particolare anche nell’ultimo anno: quale senso avrebbe ripetere in sede d’esame tale verifica? Nella discussione di una tesi universitaria nessuno si porrebbe l’obiettivo di tornare a verificare in forma sia scritta che orale le conoscenze dei singoli corsi già superati dal laureando. Oppure si tratta solo di una questione di fiducia dell’operato della scuola? Ma se questo è il problema, lo abbiamo già detto, basta aumentare la verifica della qualità della didattica attraverso la valutazione esterna e aumentare, conseguentemente, il numero dei dirigenti tecnici.

Un buon esame

In conclusione, la forma dell’esame di giugno 2021 consente di dare alle scuole quella stabilità di cui hanno bisogno e di non dover ricostruire ogni anno le forme di un rito così delicato. Ma soprattutto consente di equilibrare le varie finalità dell’esame stesso: la verifica unitaria di conoscenze e competenze, il protagonismo dello studente, la presenza di esterni di garanzia, il “rito di passaggio” al termine degli studi (adeguato e non inutilmente pesante), una sufficiente ma non eccessiva snellezza delle procedure che consenta di terminare a fine giugno e di evitare eccessive pressioni psicologiche sugli studenti, un risparmio di spesa per le commissioni esterne di alcune decine di milioni di euro.


[1] Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ai sensi dell’articolo 1, comma 785, legge 30 dicembre 2018, n. 145.

[2] Art. 13, comma 2/b, D.lgs 62/2017: “partecipazione, durante l’ultimo anno di corso, alle prove predisposte dall’INVALSI, volte a verificare i livelli di apprendimento conseguiti nelle discipline oggetto di rilevazione di cui all’articolo 19”.

[3] Art. 21, D.lgs 62/2017, “Diploma finale e curriculum della studentessa e dello studente”.

[4] Si veda ad es. Servizio Statistico Miur (2019), Focus “Esiti degli esami di stato nella scuola secondaria di II grado”.

[5] Davoli (2016), “Maturi? I risultati degli studenti agli esami del II ciclo in Emilia Romagna”, Studi e Documenti USR ER, www.istruzioneer.gov.it

[6] La dizione corretta: Dirigenti tecnici con funzioni ispettive (art. 58, legge 106 del 22 luglio 2021).