Partecipazione come antidoto al disagio

Cosa può/deve fare la scuola per i suoi studenti

C’è un allarme per il “malessere dei ragazzi” post Covid. Da una recente indagine della Fondazione The Bridge[1] emerge che il disagio è molto diffuso, anche se spesso viaggia sotto traccia, e quando il disagio non si manifesta in modo palese diventa un pericolo maggiore per la salute fisica e mentale.

Ma la scuola è in grado di aiutare questi ragazzi a star meglio? Cosa può fare in concreto oltre allo sportello psicologico che molti istituti hanno attivato? È possibile affrontare il problema anche in un modo diverso senza ricorrere al rischio della medicalizzazione?

La partecipazione come cura

I ragazzi hanno perso fiducia negli adulti e nella scuola intesa come luogo dove possono esprimersi liberamente e coltivare i propri interessi. Gli studenti pretendono, giustamente, di essere presi in considerazione per come sono e per i loro bisogni, vogliono contare di più nelle decisioni. Ma non è certo che facendo ricorso all’intransigenza sia possibile ristabilire un rapporto di fiducia.

Puntare sulla partecipazione come incentivo allo spirito d’iniziativa e allo sviluppo della creatività degli studenti può diventare il motore per riattivare la relazione educativa e far sì che la scuola sia percepita dai ragazzi come un luogo dove gli adulti si prendono cura di loro e li valorizzano.

Dare priorità nell’azione educativa alla partecipazione e al confronto può essere la miglior medicina che aiuta a superare la crisi post-Covid che stiamo vivendo e ristabilire, tra ragazzi e adulti, un rapporto di collaborazione e di reciproco rispetto: un rapporto che può far bene a tutti e può evitare anche il rischio di burnout dei docenti.

Il compito della scuola

L’attenzione alla partecipazione non è qualcosa di aggiuntivo a causa dell’ultima emergenza, ma è ciò che la scuola deve fare sempre per “mandato istituzionale”.

Lo studente ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. – è scritto nello Statuto delle studentesse e degli studenti – I dirigenti scolastici e i docenti […] attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico” (art. 2 comma 4).

Le norme sono chiarissime ma, come accade spesso, la spinta ideale si può esaurire se viene a mancare una riflessione continua su come i comportamenti organizzativi e didattici vanno ad influire sul sentire degli studenti.

La partecipazione non è un automatismo

La partecipazione, contrariamente a quanto si possa immaginare, non è un processo spontaneo, è necessario stimolarla e creare le condizioni perché si realizzi. Né si può contare sull’età dei ragazzi e pretendere una partecipazione per interesse spontaneo, né tanto meno per dovere.

Anche la partecipazione va progettata, magari assegnando la responsabilità ad una funzione strumentale dedicata, va condivisa con gli studenti, va articolata in azioni, monitorata e gestita, controllata nella sua efficacia.  

La partecipazione come valore da agire

Il primo ostacolo da superare è la tendenza a non riconoscere agli studenti nell’agito quotidiano il ruolo di partner nel processo formativo, ma di considerarli solo destinatari dell’attività di insegnamento predisposta dai docenti a cui devono adattarsi come utenti del servizio scolastico. Questo atteggiamento pesa maggiormente con gli studenti del secondo ciclo d’istruzione perché gli adolescenti hanno bisogno di sentirsi riconosciuti come soggetti attivi ancor più degli studenti del primo ciclo.

La predisposizione del PTOF

La norma prevede che il dirigente, nel preparare l’atto di indirizzo al collegio, «tiene conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti»[2]. Ma questo avviene nella realtà? Il dirigente attiva una vera e propria procedura di consultazione per raccogliere le indicazioni coinvolgendo le classi? Lo stesso dicasi per la rendicontazione sociale[3] e l’autovalutazione di istituto che non sono di competenza esclusiva dei dirigenti e dei docenti come si crede. Come vengono coinvolti gli studenti?

I Colloqui

Prendiamo poi i colloqui di routine tra i docenti e i genitori a cui di norma non vengono ammessi gli studenti. È vero che i genitori hanno la responsabilità degli studenti minorenni, ma è anche vero che al centro di un colloquio sull’andamento scolastico dovrebbe esserci sempre lo studente, grande o piccolo che sia, che è il soggetto principale del processo formativo.

Questa esclusione è legale, tranne che per i maggiorenni. Ma in realtà nulla vieta che lo studente possa essere presente per interagire con il docente e il genitore. Si tratta di una scelta degli adulti e di un’abitudine della scuola che il consiglio di Istituto può modificare organizzando diversamente i colloqui, sia nel primo che nel secondo ciclo.

La valutazione

La partecipazione favorisce anche la stessa autovalutazione. L’assegnazione di un voto o di un giudizio tenendo conto di ciò che lo studente percepisce di sé stesso, può influire positivamente sul piano psicologico in quanto ad acquisizione di sicurezza e di capacità di gestire il proprio apprendimento, ma può anche aiutare a contenere l’ansia da prestazione; conseguentemente può facilitare i docenti nell’azione di miglioramento della stessa didattica[4].

La rappresentanza

Un altro esempio è l’atteggiamento della scuola nei confronti dei rappresentanti degli studenti. Se il dirigente, per esempio, convoca periodicamente i rappresentanti di istituto per dialogare con loro e incontra qualche volta anche i rappresentanti di classe, manda un segnale molto forte a tutta la comunità scolastica. Dimostra, di fatto, che la rappresentanza non è solo un fatto formare o rituale, ma assume un valore per fare scelte e migliorare la qualità della scuola. Tale comportamento può costituire, sicuramente, una chance in più per facilitare la partecipazione di tutti facendola diventare lo strumento privilegiato alla base del rapporto tra dirigente, docenti e studenti.

Così è accaduto nelle recenti occupazioni studentesche. Quando i dirigenti si sono confrontati con i rappresentanti degli studenti e hanno concordato con loro alcune regole hanno potuto gestire l’occupazione in un modo sicuramente più sereno e collaborativo.

Riconoscere il ruolo degli studenti, renderli protagonisti del confronto con gli adulti dà loro sicurezza, li responsabilizza, crea un clima di collaborazione e attiva le migliori energie.

Il ruolo strategico del Comitato studentesco

Il Comitato studentesco[5] è uno degli organismi previsti dalla normativa[6] ed è composto dai rappresentanti di classe e dai rappresentanti eletti al Consiglio di istituto e può articolarsi in commissioni e gruppi di lavoro: una sorta di collettivo, ma previsto dalle norme. Si tratta di uno strumento importante per coinvolgere gli studenti che spesso, però, viene sottovalutato, forse anche perché non è ben conosciuto.

Potendo formulare proposte direttamente al Consiglio di Istituto per iniziative che “tengano conto delle concrete esigenze rappresentate dagli studenti” si presta bene a innescare un vero e proprio empowerment nella partecipazione degli studenti.

All’interno del Comitato gli studenti possono elaborare direttamente progetti per attività a loro destinate, o per attività di cogestione con il Collegio in cui possono essere protagonisti con le loro scelte[7]. Il Comitato può addirittura organizzare, e curare autonomamente, raccolte di fondi per autofinanziare[8] le attività proposte. Un Comitato che funziona favorisce l’interazione tra le classi e i rappresentanti nel Consiglio di istituto, può orientare le decisioni da prendere dando così un preciso significato alla democrazia rappresentativa: ora dentro la scuola domani nella società.

Non basta fare in modo che tale organismo si costituisca, ma la scuola, in modo particolare il dirigente, deve realizzare le condizioni per il suo funzionamento, favorire cioè le riunioni e le attività del comitato di gestione, mettere a disposizioni uno spazio di lavoro attrezzato e quant’altro[9].

Costituzione di associazioni

Un altro modo per incentivare la libera partecipazione è agevolare gli studenti, che vogliono ritrovarsi autonomamente, nella costituzione di vere e proprie associazioni, come è previsto dalle stesse norme[10]. È altresì importante animare confronti e dialoghi tra tutte le realtà associative presenti nel territorio agevolando momenti di incontro.

Attivare la partecipazione utilizzando la normativa rientra tra le principali funzioni dirigenziali. È una competenza che il dirigente deve coltivare perché favorisce in maniera efficace l’iniziativa e la creatività degli studenti; è un potente messaggio perché fa capire agli studenti come le regole democratiche non sono fatte per limitare la libertà, ma per permettere di esercitarla appieno nel rispetto di tutti.

Un laboratorio per imparare a collaborare

Nel primo ciclo d’istruzione non ci sono norme specifiche in merito alla costituzione di organismi collegiali, ma, nell’ambito dell’autonomia, è possibile progettare attività che possono creare dei contesti in cui sia possibile per gli studenti cimentarsi in processi decisionali e imparare a collaborare attraverso la partecipazione attiva alla vita della scuola.

Un’esperienza interessante è quella della secondaria di primo grado sperimentale Rinascita A. Livi di Milano. Il Progetto si intitola “Scuola comunità”[11] e ha l’obiettivo di rendere possibile un “interscambio tra ragazzi e adulti (insegnanti e genitori) in grado di favorire l’apprendimento scolastico degli studenti, la loro motivazione e responsabilizzazione nello studio, nonché l’acquisizione di competenze sociali che possano permettere di vivere pienamente la democrazia”.

Le attività si svolgono una volta alla settimana in uno spazio orario definito: “Gli studenti sono suddivisi in gruppi misti non in base alla classe di appartenenza, ma al compito da svolgere. Ciascun gruppo, aiutato dagli adulti (professori, ma anche genitori) deve riflettere sui bisogni della comunità degli studenti, individuare un compito concreto, organizzarsi e “fare” concretamente ciò che si ritiene utile”.

Le attività, raggruppate così per comodità espositiva, sono le seguenti:

  • attività per dare un concreto contributo alla comunità (giornale, radio online, coro, cura delle aule, manutenzione dei giardini, organizzazione degli eventi della scuola…);
  • attività di approfondimento su grandi temi come la pace, l‘intercultura, l’ecologia, l’alimentazione;
  • attività organizzative e decisionali per far cimentare i ragazzi nell’esercizio diretto e concreto della democrazia partecipativa (assemblee di classe, consiglio dei delegati, gestione di fondi comuni, ecc.).

Vi è poi la cogestione da parte degli studenti delle attività sportive, ludiche e gli “spazi-esperienza” che si svolgono durante l’intervallo tra le attività del mattino e quelle pomeridiane gestiti direttamente dagli alunni con il tutoraggio dei docenti e organizzate secondo le richieste e le proposte che vengono elaborate nelle assemblee e nel consiglio dei delegati in risposta ai bisogni di aggregazione e di relazione dei ragazzi.

La partecipazione attiva viene esercitata attraverso compiti di realtà che sono al servizio della comunità.


[1] Vedi: Il disagio psicologico dei bambini ed adolescenti post pandemia – i bisogni emersi la risposta dei comuni. Sintesi.

[2] art. 3 comma 5 del DPR 275/1999, come modificato dalla Legge n. 107/2015 all’art. 1 comma 14.

[3] Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica sulla rendicontazione sociale nelle amministrazioni pubbliche. Linee Guida per il Bilancio sociale. 2006

[4] Cristiano Corsini,” La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto””. Franco Angeli, Milano 2023.

[5] D.lgs. 297/1994 art. 13 comma 4 come modificato dall’art. 4 c. 4 e seg. del D.P.R. n. 567/1996 “Regolamento recante la disciplina delle iniziative complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolastiche” e integrato dalla Direttiva 133 del 3 aprile 1996.

[6] Sull’importanza degli organi collegiali degli studenti, Pietro Calascibetta “Collegialità e nuovi collettivi studenteschi. Come educare alla partecipazione e alla democraziaScuola7-320.

[7] “A richiesta degli studenti la scuola può destinare, sulla base della disponibilità dei docenti, un determinato numero di ore, oltre l’orario curricolare, per l’approfondimento di argomenti anche di attualità che rivestano particolare interesse.” Art. 1 comma 4 del DPR 567/1996.

[8] “Il comitato studentesco può realizzare, previa autorizzazione del consiglio d’istituto, attività di autofinanziamento […]. Le somme ricavate sono iscritte al bilancio dell’istituto con vincolo di destinazione” Art. 4 c.8del DPR n. 156/1999.

[9] “Il comitato […] adotta un regolamento interno di organizzazione dei propri lavori, anche per commissioni e gruppi, ed esprime un gruppo di gestione, coordinato da uno studente maggiorenne, che può assumere la responsabilità della realizzazione e del regolare svolgimento di talune iniziative” Art. 4 del comma 5 DPR 567/1996.

[10] Art. 4 comma 2 del DPR n. 567/1996 come modificato dall’art. 4 del DPR n. 156/1999.

[11]  Scuola sperimentale “Rinascita” A. Livi.