Il valzer delle proposte dal Miur

Il “pendolo” delle riforme

Invalsi sì, Invalsi no… Compiti per le vacanze sì, compiti no… Educazione civica sì, educazione civica no… Alternanza scuola-lavoro sì, alternanza no…

E potrei continuare. Ma la domanda vera a cui la politica dovrebbe dare risposta è una sola: questo nostro sistema scolastico riuscirà a reggere ancora per molto?

Il dibattito attorno ai temi emergenti (Invasi, ASL, compiti) è senza dubbio interessante e stimolante, ma sarebbe necessario andare oltre e cominciare a domandarsi seriamente: quanto tempo rimane a questa nostra Scuola? Non fraintendete: non morirà di certo, resterà in piedi. Ma a quale prezzo?  Anche a quello di deprivarsi di ogni significato profondo?

Declino inevitabile per la scuola?

La presenza nelle nostre classi (dalla primaria all’università) di un modello didattico prevalentemente trasmissivo e docente-centrico deve lasciare spazio ad un modello che vede lo studente al centro del proprio processo di apprendimento.

Tale “rivoluzione” deve avvenire non solo perché gli studenti non sono più quelli su cui è stato costruito questo sistema di istruzione, o perché l’avvento delle tecnologie ha modificato profondamente il modo di apprendere, o ancora perché le richieste della società e del mondo del lavoro sono molto diverse da quelle di un tempo, ma anche perché fra non molto l’istruzione così pensata sarà erogata anche (meglio) dai corsi on-line.

Google è un trasmettitore di informazioni eccellente, i corsi MOOC (Massive Open On line Courses) si stanno rapidamente diffondendo e altrettanto rapidamente sta progredendo la loro qualità; le lezioni su piattaforme dedicate (TED, Oilproject, Coursera, Emma, Eduopen, etc.) sono sempre più frequentate e offrono un servizio più che eccellente.

C’è ancora bisogno di un luogo chiamato scuola?

Occorre dunque reagire e accogliere il cambiamento senza sfuggirlo; il rischio potrebbe essere la perdita di significato della scuola agli occhi di utenti, famiglie e studenti. Il fenomeno dell’homeschooling è infatti in rapida ascesa, non solo negli Stati Uniti ma anche qui da noi.

Rendere lo studente protagonista

Frequentare le aule scolastiche dovrebbe oggi dare garanzie di sviluppo di competenze, di pensiero critico, di pensiero creativo, di abilità comunicative e collaborative. Tutto questo è invece lasciato troppo spesso alla libera iniziativa dei docenti, i quali devono però fare i conti con rigidità strutturali e organizzative che lasciano poco spazio a didattiche alternative.

Praticare lezioni interattive e dialogiche, rendere lo studente protagonista attivo del proprio apprendimento, praticare una valutazione formativa, sono le strategie riconosciute come efficaci in una società in rapida evoluzione, profondamente diversa quella che ha dato origine al nostro sistema scolastico.

Il cambiamento non è una “giostra”

Non abbiamo bisogno di valzer e balletti su svariate proposte educative: abbiamo bisogno di cambiamento, quello vero, quello dettato dai reali bisogni. I nostri studenti necessitano di ambienti di apprendimento aperti e flessibili, di docenti preparati dal punto di vista (anche) pedagogico e didattico, di scuole meno rigide da un punto di vista gestionale e organizzativo, di istituti realmente autonomi, di dirigenti con ruoli (anche) educativi. Abbiamo bisogno di una scuola che sappia rinnovarsi per accogliere le trasformazioni; non abbiamo bisogno di sentirci ogni giorno su una giostra che gira incessantemente, il cui “codino” è rappresentato dall’ennesima dichiarazione del giorno.

Le domande per le sfide future

Una cosa è certa: la nostra Scuola possiede le risorse professionali utili per cavalcare il doveroso cambiamento, ma necessita del giusto tempo per riflettere e delle necessarie condizioni per agire. Diamo alla scuola gli strumenti, liberiamola da un po’ di burocrazia e… lasciamola lavorare. Sarà in grado di stupirci.

Solo dopo potremo parlare di Invalsi, di alternanza, di compiti; prima pensiamo a vincere la sfida del futuro, costruendo una scuola al passo con i tempi. Diversamente l’on-line avrà la meglio, e allora ci troveremo costretti a guardare indietro e a rimpiangere scelte non fatte. Occorre agire in fretta ma con cognizione di causa. Occorre farsi domande, ma quelle vere, significative, direbbe G. Wiggins: che tipo di cittadino vogliamo per il domani? Che tipo di studente vogliamo per le nostre classi? Che tipo di scuola dobbiamo allora costruire? Queste domande non troveranno risposta con l’ora di educazione civica, né con l’abbandono dei test Invalsi, né tantomeno con la riduzione dell’alternanza.