Professionale (istruzione e lavoro)

Il rapporto tra mondo della scuola e mondo dell’economia soffre di un approccio tradizionale: la scuola rivendica la sua funzione culturale “disinteressata”, mentre l’impresa spinge per intercettare le domande e le innovazioni del mercato. Evidentemente sono due visioni diverse, apparentemente inconciliabili, che non danno ragione dei nuovi scenari globali ove cultura, competenze personali, livelli di istruzione, diventano indispensabili fattori di sviluppo, di successo, ma anche di cittadinanza e democrazia. Ecco perché i due mondi devono imparare a dialogare, come ricorda il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia in una intervista esclusiva a “scuola7.it” (cfr. Boccia, 51). Le tensioni su fronte delle imprese, sintetizzabili nella prospettiva di Industria4.0 interpellano a fondo la scuola, perché richiedono più elevati livelli di competenza dei lavoratori, sia di base, che specialistiche, ma anche trasversali e “soft” (cfr. Ciccone, 53). E’ un discorso che non può non interessare il mondo dell’istruzione, non solo nel suo versante “professionalizzante”. E’ anche questo uno dei motivi che ha spinto il legislatore ad intensificare il rapporto scuola-lavoro rendendo obbligatorio un consistente monte-ore per esperienza di alternanza scuola-lavoro per gli studenti delle scuole secondarie di II grado. L’alternanza, tuttavia, non va intesa come una forma di precoce apprendistato o di addestramento alle future mansioni lavorative (cfr. Maloni, 37), ma come la presa di contatto con un mondo “esterno” all’aula, ricco di saperi, tecnologie, regole, storie, dunque meritevole di entrare a pieno titolo nel curricolo di ogni studente. Occorre però che il mondo delle imprese (aziende, servizi, enti pubblici, strutture culturali) sia messo nelle condizioni di accogliere in maniera adeguata (cioè non marginale) gli studenti impegnati in esperienze di alternanza (cfr. Ciccone, 51). Per gli studenti degli istituti professionali, l’esperienza di alternanza sembra più connatura alla mission di questa particolare tipologia di istruzione (cfr. Ciccone, 47), più complesso risulta trovarne le motivazioni (che pure ci sono) per i Licei. Un rapporto più esteso del sistema educativo con il valore del lavoro e con le competenze legate all’occupabilità (nel senso più ampio e alto del termine) può aiutare anche il settore dell’istruzione professionale ad uscire dall’angolo in cui è ridotta (oggi viene scelta dal 15,1% dei quattordicenni). Molte speranze si sono riversate verso il d.lgs. 61/2017 di riordino degli istituti professionali. E’ prematuro esprimere giudizi, anche se molti osservatori si sarebbero aspettati scelte più innovative e non solo il restyling didattico del curricolo, che diventa fattibile tramite percorsi fortemente personalizzati, l’aggregazione di discipline in aree, l’istituzione del tutoring, il ricorso alla didattica laboratoriale, ecc. (cfr. Maloni, 33). E’ in gioco il rilancio dell’intero significato dell’educazione tecnico-professionale, che richiede di essere pensata non in subordine ad altre filiere formative, puntando decisamente anche alla riscoperta delle eccellenza trainata da una istruzione tecnico-superiore (cfr. Prontera, 27).