INVALSI

Come si posiziona oggi il nostro Istituto Nazionale di Valutazione (INVALSI) nella vita della scuola e nel rapporto con gli insegnanti? Spesso, in questi anni, abbiamo assistito ad accese polemiche nei confronti dell’INVALSI, soprattutto in occasione delle rilevazioni annuali degli apprendimenti, previste in forma censuaria e obbligatoria dal 2007. Al di là della struttura delle prove (che in effetti sta via via migliorando, con l’apporto di insegnanti sperimentatori), si eccepisce soprattutto sull’utilizzo dei molti dati che le prove forniscono alle scuole e al sistema. Appunto, qual è la natura delle prove? Forniscono informazioni sull’andamento dei risultati scolastici (per altro limitati ad alcune competenze linguistiche e matematiche) a livello di sistema oppure misurano le competenze dei singoli allievi? Il dilemma permane anche all’interno del D.lgs 62/2017, che rende operativa la delega in materia di valutazione contenuta nella “Buona Scuola”. Da un lato, le prove Invalsi escono dagli Esami di Stato dove influivano sul voto finale, dall’altro “entrano” nella certificazione delle competenze come descrizione dei livelli “individuali” di apprendimento. In questo campo sono attese novità con un prossimo decreto ministeriale. Nel frattempo si è venuto consolidando il ruolo dei dati Invalsi all’interno del Rapporto di Autovalutazione (RAV), visto che il modello interpretativo per la valutazione della scuola mette al centro proprio gli esiti degli allievi (prove Invalsi, risultati scolastici, competenze chiave, risultati a distanza). Ad esempio, la differenza di rendimento tra le classi di una scuola, che è un sintomo di non equità della proposta formativa, è in un qualche modo misurabile con i dati INVALSI (cfr. Cavadi, 50). Di qui si parte per impostare i piani di miglioramento e le azioni di sviluppo (cfr. Donà, 26), attraverso un percorso che ormai le scuole hanno imparato a padroneggiare (anche se l’efficacia dei risultati è ancora tutta da dimostrare). Ma le prove dovrebbero essere utilizzate dalle scuole non tanto per “misurare” i risultati degli allievi in termini oggettivi, quanto per capire e conoscere la qualità degli apprendimenti in fase di acquisizione. Le prove, d’altra parte, sono “ancorate” ai traguardi e agli obiettivi delle Indicazioni Nazionali ed esprimono una idea dinamica dei saperi disciplinari, mettendone in evidenza competenze, concetti, linguaggi (cfr. Garuti, 40). L’osservatorio INVALSI, dunque dovrebbe essere percepito come “amico” della scuola e non “ostile”, perché in grado di fornire informazioni utili sull’andamento degli apprendimenti (cfr. Da Re, 50), così come avviene anche attraverso le rilevazioni Ocse-Pisa (cfr. Prontera, 38).