Umanistica (cultura)

Il rapporto della scuola con la cultura umanistica (le lettere, l’arte, i saperi disinteressati in generale) è per molti aspetti ambivalente. La scuola (soprattutto quella secondaria di II grado) viene spesso considerata troppo legata alla sua matrice gentiliana, per la centralità delle discipline letterarie, storiche, filosofiche. Si pensi al paradigma del liceo classico, come prototipo della formazione per i ceti dirigenti e intellettuali, forse ora smentito dall’innesto del liceo sportivo! (cfr. Granello, 31). Per contro, le discipline scientifiche (oggi accomunate sotto l’acronimo STEM) soffrono di una tradizionale marginalità nei curricoli e, soprattutto, nei metodi didattici: gli approcci sperimentali, quelli laboratoriali, la cultura del fare, il problem solving sono guardati con benevolenza, ma di fatto emarginati dalla cultura scolastica ufficiale (si veda la difficoltà a far decollare il tema delle competenze nei nostri licei). Ma allora, perché una delle otto deleghe della “buona scuola” ha messo al centro la riscoperta della cultura umanistica, in tutte le sue espressioni performative (artistiche, musicali, teatrali, cinematografiche, ecc.)? Forse proprio per riscoprire il valore formativo di tali saperi, con il richiamo alle loro dimensioni pratiche ed esperienziali (di messa alla prova), come ci ricorda da alcuni anni il comitato per l’apprendimento “pratico” della musica, presieduto dall’ex-ministro Berlinguer. Dunque, nel decreto legislativo sulla cultura umanistica si cerca di rispondere ad un mix di esigenze formative (cfr. Di Natale, 32): recuperare il terreno perduto, far fronte alle criticità negli insegnamenti della storia dell’arte e della musica, assicurare agli alunni – dalla scuola dell’infanzia alle scuole secondarie – una formazione artistica di maggiore respiro, potenziare talenti e attitudini. Appare meritoria l’intenzione di riscoprire questa “vocazione” tipica del nostro Paese, dunque educare alla fruizione dei beni culturali in tutte le sue espressioni. Ci sarebbe magari da interrogarsi sulla delimitazione della cultura umanistica, che viene fortemente ricondotta alla dimensione artistica, con un occhio di riguardo ai temi della creatività, dell’artigianato, del “made in Italy”. Già varie iniziate, di fatto, preludono a quel Piano delle Arti che dovrebbe coinvolgere diverse istituzioni nazionali e locali. Uno specifico Bando PON (cfr. Di Natale,42) è stato dedicato al finanziamento di progetti che possono indurre alla valorizzazione dei beni culturali (conoscenza, accesso, comunicazione digitale, rigenerazione, turismo culturale), quasi prefigurando le linee di una “creative economy” che nel riscoprire il valore dell’identità, della coesione sociale, della memoria (cfr. Zauli, 27) possa diventare il volano di uno sviluppo che si vorrebbe ecosostenibile. Quest’ultima prospettiva è stata recentemente “sposata” dal Ministero con il lancio di Agenda 2030, il documento-planning delle Nazioni Unite sulla “sostenibilità” affidato in Italia all’agenzia ASVIS (cfr. Asvis).