Alternanza

La questione dell’alternanza scuola-lavoro fa parte dei dossier “caldi” nel passaggio tra vecchio e nuovo Governo, anche se non è del tutto chiaro quale segno prenderà il cambiamento in questo settore. Probabilmente si andrà verso il superamento dell’obbligo attuale (soprattutto nei Licei), anche se è prevedibile che le imprese del Nord abbiano fame di “alternanza” finalizzata ad orientare la propensione dei giovani verso le mansioni tecnico-professionali di cui c’è una forte carenza. Ma, appunto, quali sono le ragioni di una buona alternanza? In un equilibrato documento sottoscritto da tanti dirigenti scolastici e insegnanti (Ciccone, 75) si mette in evidenza che la finalità prioritaria è consentire agli studenti un contatto diretto con il mondo del lavoro, della ricerca, dei servizi (anche quelli culturali), per acquisire nuove conoscenze sul campo, o meglio mettere alla prova in contesti reali gli apprendimenti acquisiti nel setting scolastico. Quindi una funzione formativa, didattica, un ulteriore metodo di studio (per compiti di realtà) che è sempre più diffuso nel mondo della scuola, della formazione, del lavoro. L’evoluzione dell’alternanza nel nostro ordinamento appare incerta, come dimostrano anche le ultime mosse molto caute del MIUR con la nota 7194 del 24 aprile 2018 (Ciccone, 91), che rende più flessibile questa fase di prima attuazione. Qualcuno spingerà verso un approccio marcatamente addestrativo, ma i documenti internazionali ormai si sono ben orientati verso il concetto di educazione all’imprenditorialità, ivi comprese le nuove “competenze chiave” (cfr. Unione Europea), con indispensabili ricadute anche nelle iniziative delle scuole (Accorsi, 84).

Che i canali per apprendere siano necessariamente diversi lo dimostra la vicenda dell’educazione degli adulti, quasi sempre ai margini del nostro sistema, e che ora vede timidi tentativi di rilancio (con la nascita dei CPIA), anche attraverso azioni di ricerca e la messa a punto di modelli didattici (Palumbo, 76). È evidente che si tratta di un settore in cui occorre investire di più (Accorsi, 91), perché l’Italia deve recuperare molto terreno nel rapporto ricorsivo tra apprendimenti formali, informali e non formali.